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Regina1990
Utente di ABCsalute.it
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Buonasera a tutti.
Cercherò di essere, per quel che mi è possibile, breve.

Ho conosciuto, un anno fa, un ragazzo del quale mi sono innamorata.
Abbiamo entrambi 29 anni.
Lui è africano (è in Italia dal 2014), ma, apparentemente, ben integrato nella nostra realtà (ha conseguito una laurea in Italia e lavora in prefettura).
Inizialmente andava tutto bene - anche se sin dall'inizio lui mi diceva sempre che, da quando ci siamo conosciuti, lui riusciva a dormire: a questa affermazione, ho sempre risposto che non essendo io il motivo per il quale non riusciva a dormire (non ci conoscevamo ancora), non potevo essere io la "soluzione".
Dopo qualche mese ha iniziato a diventare distante e freddo.
Al mio incalzarlo, ha risposto che era già qualche mese che non riusciva più ad essere felice, ma che io non c'entravo nulla e mi ha chiesto una pausa - che a malincuore gli ho concesso.
Ha iniziato a farsi seguire da uno psicologo, ma il suo isolamento è continuato: chiamate e messaggi sempre più di rado (viviamo ad 800km di distanza, ma, per via di un master, sono stata circa quattro mesi su da lui).
Al che gli ho proposto di lasciarci.
Lui ha accettato di buon grado - senza alcuna emozione.
Dopo mi ha scritto per degli auguri; io gli ho chiesto come stesse, ma le sue risposte rimanevano sempre sul vago.
Mi ha chiamato una volta (gli ho risposto cercando di essere il più delicata possibile), ma alle mie seguenti chiamate non c'è stata alcuna risposta, se non "non mi stressare" e "fammi respirare".
Dopodiché mi ha bloccato.
Ho parlato con un suo amico che mi ha confermato quanto già avevo intuito, ovvero che si tratta di fenomeni depressivi dovuti ad un probabile stress pos traumatico, con implicazioni identitarie, culturali e di integrazione (un percorso che lui non ha mai fatto essendo uscito dopo soli 14 giorni dal centro di accoglienza).
Io sono davvero innamorata di questo ragazzo - ed ero sicura lui lo fosse di me - e la differenza culturale, che pure c'è, la consideravo, così come lui, un ostacolo superabile (lo era un po' meno per me quella religiosa, ma lui non è affatto, così come non lo sono io, un praticante).
Ora, le mie domande sono:
1) Possono, posto che inizialmente alla mia proposta di lasciarci piangeva e diceva di voler solo una pausa e dopo ha accettato di buon grado la mia proposta di allontanamento, i suoi sentimenti essere stati influenzati dalla alterazione psicologica che sta vivendo? Può essere che le sue emozioni siano alterate?
2) Possono il percorso psicologico che sta conducendo ed il viaggio in Africa programmato di concerto con lo psicoterapeuta (a dire del suo amico) aiutarlo davvero?
3) Potrebbe, alla fine della terapia, ritrovare quelle emozioni, positive e negative, che si dice non più capace di provare?
Insomma, ha senso che io lo aspetti - nonostante questa apparente chiusura (a me sembra di stare a parlare con un'altra persona, con un muro...di cemento armato e rinforzato)?

Grazie in anticipo per l'attenzione.

Ps:non è passato dalla Libia, ma ha, alle spalle, eventi a mio modo di vedere traumatici per qualunque essere umano.

Confidando in una vista risposta (per quanto possa essere complicato il quesito, ne ho davvero bisogno), Vi ringrazio anticipatamente e Vi porgo le mie cordialità.
 
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