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Prof. Dr Francesco Violi

Specialista in Medicina Interna

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laurea

    19/07/1974 - Medicina e Chirurgia (Roma "La Sapienza")

    Iscrizione all'albo

    07/05/1975 - Albo Provinciale dei Medici Chirurghi di Roma (Ordine della Provincia di ROMA)

    Specializzazione

    12/07/1985 - Radiodiagnostica (Roma)

    Abilitazione

    1975 /1 - Medicina e Chirurgia (Roma "La Sapienza")


La Vitamina E ha un influsso positivo sulla cardiopatia coronarica

Scritto da
Prof. Dr Francesco Violi

Pubblicato il
17/01/2011

Antiossidanti e cardiopatia coronarica. Un vasto numero di studi epidemiologici osservazionali hanno valutato una potenziale relazione tra antiossidanti e cardiopatia coronarica (CHD).

A questo proposito negli ultimi 10 anni sono stati effettuati diversi studi al fine di stabilire la relazione tra CHD e supplementazione dietetica di antiossidanti. 

 

Il deficit vitamina E. Presi insieme i dati di queste ricerche suggeriscono che il deficit vitamina E è un importante fattore predittivo di CHD e può rappresentare un fattore di rischio indipendente per l'aterosclerosi e per le sue complicanze.

La carenza di vitamina C sembra essere un fattore predittivo meno potente per CHD, tuttavia basse concentrazioni plasmatiche di vitamina C appaiono fortemente associate con l'ictus e i classici fattori di rischio per CHD, come il fumo di sigaretta e il diabete.

A causa della mancanza di standardizzazione e per la dispersione dei dati riguardanti il rapporto vitamina E / colesterolo, un'analisi accurata dei livelli di vitamina E nei pazienti e nei soggetti sani è cruciale per ottenere un uso affidabile di questa variabile nella pratica clinica e nei trial d'intervento. 

 

Trial d'intervento. Mentre gli studi epidemiologici hanno dimostrato che l'assunzione con la dieta di vitamina E è inversamente correlata alle complicanze di cardiopatia coronarica, gli studi che prevedevano la somministrazione supplementare di vitamina hanno dato risultati discordanti.

La maggior parte dei trial con gli antiossidanti hanno usato vitamina E principalmente per il fatto che gli studi epidemiologici avevano documentato che l'assunzione regolare di questa vitamina riducesse il rischio di eventi cardiovascolari. 

 

I livelli plasmatici e la vitamina E. Per questo la selezione dei pazienti per i trial si è basata sull'ipotesi che tutti i pazienti a rischio di malattia cardiovascolare potessero ricevere benefici dalla supplementazione di vitamina E, perciò molti trial d'intervento primari e secondari, come gli studi GlSSl-Prevenzione, HOPE e PPP non hanno considerato lo stato ossidativo come un criterio di inclusione e non hanno riportato dati circa la biodisponibilità di vitamina E.

La mancanza di quest'informazione rende i risultati difficilmente interpretabili, anche perché l'importante aspetto riguardante la biodisponibilità di vitamina E è stato completamente ignorato.

Noi abbiamo dimostrato infatti che circa il 30% dei soggetti non ha un incremento dei livelli plasmatici di vitamina E a meno che quest'ultima non sia assunta dopo i pasti.

Questo risultato è stato recentemente supportato da Carroll che ha dimostrato un significativo aumento dei livelli plasmatici di vitamina E quando questa veniva assunta immediatamente prima del pasto. 

 

La progressione o meno dell'aterosclerosi. Sulla base di queste considerazioni possiamo concludere che esiste un'importante evidenza che in pazienti con i classici fattori di rischio per l'aterosclerosi si possa rilevare uno stress ossidativo incrementato e che tuttavia il suo impatto sulla progressione dell'aterosclerosi è ancora da determinare.

Il motivo di questa incertezza è dovuto alla mancanza di chiari studi prospettici che indichino come i markers dello stress ossidativo, quali i lipidi plasmatici perossidi o l'isoprostano F2 urinario, possano essere di qualche importanza nel predire la progressione dell'aterosclerosi, anche se esiste un'evidenza che anticorpi anti-LDL ossidate possano essere utili. 

 

Il rischio da basso stato antiossidante. Diversamente, studi epidemiologici sembrano indicare che il basso status antiossidante aumenta il rischio di malattia cardiovascolare.

Le caratteristiche cliniche dei pazienti a basso status antiossidante non sono state definite e dovrebbero essere studiate quanto prima.

Molti trial clinici con antiossidanti hanno incluso pazienti senza valutarne né lo stress ossidativo né lo status antiossidante, e questo arruolamento indiscriminato probabilmente è il motivo per il quale ci sono stati risultati negativi, recentemente enfatizzati nelle meta-analisi.

Futuri trial con antiossidanti dovranno essere programmati identificando i potenziali candidati al trattamento.



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