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Carni rosse lavorate tra i cancerogeni di prima fascia: facciamo chiarezza con l’oncologo Prof. Dott. Giuseppe Colucci

Prof. Dott. Giuseppe Colucci
Prof. Dott. Giuseppe Colucci






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Abbiamo chiesto all’oncologo Prof. Dott. Giuseppe Colucci un commento per approfondire la notizia della cancerogenicità delle carni rosse e lavorate, esito degli studi dell’IARC, organo dell’OMS.

 

I dati della recente metanalisi promossa dall’OMS ed effettua dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) hanno portato agli esiti pubblicati nell’articolo del Lancet Oncology e che, in questi giorni, è tema di acceso dibattito: le carni rosse lavorate sono state inserite tra i cancerogeni di prima fascia – tra le sostante certamente cancerogene per i carcinomi del colon e dello stomaco – e la carne rossa nel 2° gruppo – tra gli elementi potenzialmente cancerogeni per il cancro del colon, del pancreas e della prostata.

 

Prima di procedere con l’argomentazione della notizia, ritengo sia bene precisare che la carne rossa e suoi derivati industriali non sono un veleno come, invece, lo è il fumo della sigaretta per il quale non vi deve essere alcuna tolleranza, e quindi non bisogna cedere ad alcun allarmismo irrazionale, ma è vero anche che non si deve banalizzare questo dato di fatto.

 

Il complesso studio dà fondamento scientifico a una verità sospettata già da 15 anni: sebbene condotte su un numero inferiore di studi, le metanalisi del 1990 erano concordi nell’affermare che i grassi saturi di origine animale e la carne rossa sia fresca che lavorata incrementavano in maniera significativa l’incidenza del cancro al colon-retto, cosa che avviene anche per i grassi saturi animali e il cancro della mammella.

 

D’altra parte, basta osservare la mappa mondiale delle nazioni con il rispettivo consumo di carne rossa, e la mappa con l’incidenza del cancro colon-rettale per nazione per vedere che si sovrappongono perfettamente.

I dati del 1990 dicevano che la carne rossa aumenta il rischio di carcinoma colon-rettale di circa 4 volte, e secondo i dati dell’IARC con una quantità media di 65gr al giorno di insaccati c’è un incremento di cancro del colon del 18%.

 

Nella piramide della dieta mediterranea, non a caso la carne rossa occupa da sempre la vetta, con la raccomandazione a mangiarne ogni 15 giorni e, più recentemente, ogni 30 giorni. Personalmente credo che una buona bistecca si possa mangiare 3 e anche 4 volte al mese, ma obbligatoriamente accompagnata con legumi, ortaggi e frutta, tanta frutta.

 

Una dieta ricca di grassi saturi animali e di carne rossa provoca danni epigenetici, attraverso i meccanismi noti dell’acetilazione degli istoni, la metilazione del DNA e la formazioni di microRNA, che incidono sulla propria salute e sulla prole perché sono danni ereditabili ma, per fortuna, reversibili. Ecco perché mangiare in maniera salutare fa bene a se stessi e anche alla discendenza.

 

Uno studio recente, di cui si attende conferma, ha sostenuto che gli effetti negativi della carne rossa sono notevolmente ridotti se si mangia insieme a spinaci e/o cavoli.

 

L’indagine citata aveva l’obiettivo di valutare il rischio nell’ottica della prevenzione primaria, ma ha tralasciato un dato molto importante: gli effetti di una dieta con molta carne rossa e derivati sono dannosi anche per chi ha già avuto un cancro al colon-retto. È stato osservato (Meyerhardt, 2007), infatti, che nei pazienti operati per tumore al colon-retto al III stadio (cioè senza metastasi a distanza) il gruppo che mangiava all’americana, cioè carne rossa tutti i giorni, ha presentato un rischio di circa 3 volte superiore per la comparsa della recidiva e 2,3 volte più alto il tasso di mortalità, rispetto al gruppo di pazienti che mangiava poca carne.

Un altro studio (McCullough, 2013) condotto su pazienti con malattia avanzata e alimentazione americana ha evidenziato un incremento del 79% del rischio di morte cancro-correlata.

 

Non credo, quindi, che vi possano essere dubbi in tal proposito e la raccomandazione a mangiare sano con la riduzione di grassi saturi animali e di carne rossa e insaccati deve essere forte, molto forte, e sostenuto da efficaci programmi di educazione sanitaria già alle elementari.

 

È necessario, però, che la ricerca epidemiologica e nutrizionista continui il suo lavoro di studio e analisi per definire meglio sia il quadro per ogni singola nazione, e per l’Italia per singole macroregioni, sia per capire meglio se tali dati sono uguali per gli animali tenuti nelle stalle e per quelli al pascolo, cosa che dubito fortemente.

 

Per gli insaccati il compito di fare una selezione appare al momento molto più difficile per tanti motivi: non solo sapere la provenienza delle carni, ma tutti i procedimenti e le sostanze impiegate per la lavorazione e per la conservazione…. Ricordo infine che la ricerca è il volano del progresso, in ogni settore.

Oncologo Prof. Dott. Giuseppe Colucci


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