Come anticipato nell’articolo dedicato all’infezione da citomegalovirus, nel post di oggi parliamo del citomegalovirus in gravidanza: come si trasmette, quali rischi comporta per il feto e come si può prevenire.
Come avviene la trasmissione madre-figlio
Il contagio del CMV da madre a feto avviene soprattutto per via transplacentare. Si parla di trasmissione primaria se la donna acquisisce il virus per la prima volta durante la gestazione – nei due mesi prima del concepimento e nei primi tre mesi della gestazione – e di trasmissione secondaria se il citomegalovirus si riattiva in gravidanza mentre fino a quel momento era latente nell’organismo della futura mamma.
Le due situazioni comportano un diverso impatto sul feto: il contagio primario è più pericoloso del secondario perché sono assenti gli anticorpi che, nel secondo caso, intervengono per bloccare o limitare la trasmissione del CMV al feto e i relativi rischi per la sua salute.
Per darvi un’idea della trasmissione verticale del virus, condividiamo i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss) circa la diffusione del citomegalovirus in gravidanza:
- Il rischio di trasmissione primaria al feto è del 30-40% (3 o 4 bambini su 10 mamme che contraggono il CMV), quello di trasmissione secondaria è del 0,5%-2%.
- L’85-90% dei neonati con infezione congenita è asintomatico. Di questi, il 10% presenta sintomi a distanza di mesi o anni riguardanti soprattutto disturbi dell’udito.
- Il 10-15% dei neonati con infezione congenita è sintomatico con disturbi temporanei – a fegato, milza e polmoni, manifesta ittero, chiazze rosse ed emorragiche sulla pelle, convulsioni – o permanenti come perdita dell’udito, della vista, ritardo mentale, deficit cognitivi, dimensioni ridotte della testa.
Come si diagnostica l’infezione da CMV e come prevenirla
La diagnosi di infezione da citomegalovirus in gravidanza avviene attraverso una semplice analisi del sangue che non rientra tra gli esami di routine da fare in gravidanza.
L’analisi del sangue serve a rilevare la presenza di anticorpi IgM anti-CMV – prodotti entro una settimana dall’infezione e in risposta a essa – e di IgG anti-CMV prodotti dall’organismo dopo alcune settimane dall’infezione. Gli IgM possono dare esito di falso positivo, cioè denunciare la presenza dell’infezione anche se non c’è. Per questo motivo si consiglia di ripetere le analisi in un laboratorio specializzato.
Un esame più specifico è il test di avidità delle IgG che permette di risalire al periodo dell’infezione: una bassa avidità delle IgG <0.8 è spia di un’infezione recente, un’alta avidità delle IgG >0.8 indica l’assenza di una infezione primaria in atto o recente. Individuata la presenza del CMV, per accertare la trasmissione del virus al feto si può ricorrere ad altri esami, in primis all’amniocentesi.
A oggi, l’unico modo per prevenire il citomegalovirus in gravidanza (e non solo) è curare l’igiene personale ed evitare il contatto con giocattoli sporchi di saliva o posate usate dai bambini. L’attenzione dev’essere massima se si è a contatto con bambini piccoli per lavoro o se in famiglia c’è un altro bambino, perché il CMV attecchisce facilmente su di loro.
In assenza di un vaccino, il modo migliore per prevenire il citomegalovirus in gravidanza è una terapia basata sulla somministrazione di immunoglobuline CMV specifiche, come dimostrato dai risultati di uno studio preliminare non randomizzato.
Fonti e approfondimenti: www.epicentro.iss.it, www.osservatoriomalattierare.it, www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed