A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica
Ogni donna può scegliere, con l’aiuto del proprio medico, il percorso di diagnosi prenatale più adatto a lei tra esami di diagnosi prenatale invasivi, come l’amniocentesi o la villocentesi, oppure test di screening prenatale non invasivi, come il Bitest o il test del DNA fetale.
L’amniocentesi è un esame diagnostico invasivo, ma che restituisce un risultato certo. Tramite questo esame è possibile rilevare eventuali anomalie cromosomiche nel feto, come le Trisomie 18, 21, 131. Spesso viene eseguito quando un test di screening prenatale è risultato positivo.
Si effettua in regime ambulatoriale prelevando, attraverso puntura del sacco amniotico, un campione di liquido1. Al termine del prelievo si può già tornare a casa, ma rispettando un periodo di riposo di almeno 12-24 ore. Il liquido amniotico prelevato viene analizzato nei laboratori e dopo circa 10-15 giorni sono pronti i risultati. Le eventuali alterazioni cromosomiche individuate possono essere numeriche o strutturali, responsabili di diverse malattie genetiche come la Sindrome di Down, la Sindrome di Edwards, la Sindrome di Patau, la Sindrome di Turner, la Sindrome di Klinefelter e molte altre anomalie cromosomiche2.
I casi in cui viene solitamente consigliata sono:
- donne con un rischio elevato di anomalie cromosomiche perché hanno familiarità con alcune di queste malattie;
- donne che hanno un’età superiore ai 35 anni al momento della gravidanza;
- il risultato dell’esame di screening prenatale non invasivo ha evidenziato un alto indice di rischio;
- se tramite ecografia viene riscontrata qualche anomalia fetale;
- se la donna incinta contrae qualche malattia infettiva, come la rosolia, la toxoplasmosi o il citomegalovirus2.
L’amniocentesi è un esame invasivo e rischioso, per cui va considerato con molta attenzione se farlo o meno in quanto potrebbe avere complicanze. Per esempio, l’amniocentesi ha un rischio di aborto dell’1% circa3.
L’amniocentesi può essere precoce, e quindi essere eseguita tra la 16a e la 18a settimana di gravidanza, oppure tardiva, ovvero può essere eseguita dopo la 25a settimana. Uno dei limiti di questa procedura è che i risultati non possono essere ottenuti prima della 19a settimana. Tuttavia interrompere una gravidanza in quest’epoca gestazionale può avere delle forti ripercussioni psicologiche. Per questo l’interesse degli esperti si è orientato verso esami che potessero dare risultati certi il prima possibile, come l’amniocentesi precoce o la villocentesi3. In epoca precoce però, l’accesso con l’ago e il successo della procedura possono risultare ancora più difficili a causa del poco liquido amniotico prelevato e dei tempi più lunghi per le colture. La percentuale di rischio di aborto in caso di amniocentesi precoce sale del 2,3%3.
Durante la gestazione, la futura mamma può valutare se sottoporsi a un esame di screening prenatale non invasivo, sicuro sia per la mamma che per il bambino. I test di screening sono definiti “probabilistici”, in quanto restituiscono la percentuale di trovare un’anomalia cromosomica nel feto. Un esempio di esame di screening prenatale è il test del DNA fetale che si può eseguire già dalla 10a settimana di gestazione. È quindi un esame precoce, ma che ha un alto tasso di affidabilità, pari al 99,9%, nella rilevazione delle principali anomalie cromosomiche come la Sindrome di Down e delle microdelezioni.
La scelta del percorso di diagnosi prenatale o di screening più adatta va valutata sempre insieme al proprio ginecologo. Per maggiori informazioni sul test prenatale non invasivo Aurora: www.testprenataleaurora.it
Fonti:
- Ginecologia e ostetricia di F. Bombelli, M. Castiglioni; Società Editrice Esculapio; 2014
- Fondazione Veronesi – www.fondazioneveronesi.it
- Medicina dell’età prenatale: prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – A.L. Borelli, D. Arduini, A.Cardone, V.Ventruto – P.58