Inserita dall’OMS nella lista delle 20 malattie più invalidanti per le donne (colpite in rapporto 3 a 1 rispetto agli uomini), l’emicrania rappresenta, comunque, un esempio di problematica di salute molto attuale per la crescita costante del suo impatto sulla società e sulla sanità pubblica.
Le stesse considerazioni sono presenti anche nella prefazione delle recenti linee guida elaborate dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali o dell’analogo documento redatto dalla Società Italiana per lo studio delle Cefalee che hanno rilevato un notevole grado di diffusione di questo disturbo.
Sebbene in Italia non siano stati condotti sufficienti studi epidemiologici utili a descrivere il quadro in modo adeguato, entrambi i documenti e i dati di una recente indagine europea riportati in questo approfondimento su Brainfactor, evidenziano come la cefalea sia:
- scarsamente diagnosticata nella sua fase di esordio;
- la principale causa di disabilità e di utilizzo dei servizi nella sua componente cronica.
Le persone che soffrono di emicrania sono seguite in modo improprio se non lasciate a se stesse con esiti spesso infausti dovuti al fatto che si ritrovano a essere gli unici arbitri del proprio percorso di cura. L’inversione di rotta dovrebbe andare verso un approccio volto all’individuazione precoce dei soggetti affetti, al fine di indicargli presso quali strutture recarsi.
Quest’avvicinamento del paziente ai percorsi di cura specifici è possibile se i medici di medicina generale prendono coscienza di avere l’importante ruolo di primi interlocutori con cui egli s’interfaccia, della necessità di ascoltarlo e di valutare attentamente quelle che possono essere le situazioni potenzialmente a rischio.
Altrettanto importante è il contributo degli specialisti nel cercare di “prendersi carico” delle persone prima del loro arrivo in visita promuovendo, insieme con associazioni e istituzioni (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Agenzia Italiana del Farmaco, etc.), campagne d’informazione che rendano il cittadino consapevole di come si debba relazionare alla malattia.
Non a caso, anche nella prefazione delle linee guida Age.Na.S., viene sottolineata la necessità di affrontare “una patologia molto diffusa che, sostanzialmente, potrebbe essere superata, non lo è, ma è invece frequentemente sotto diagnosticata e sotto trattata”.
Un ulteriore termometro della situazione appena esposta è costituito dal web. Veicolo d’informazione potente nonché uno dei mezzi più utilizzati per condurre ricerche in ambito salute, è uno specchio di quanto la frammentazione nei contenuti che lo contraddistingue possa generare confusione. Per esempio, in relazione a espressioni quali “mal di testa”, “emicrania” o “cefalea” si trovano informazioni mediche cui seguono consigli pratici che vanno in direzioni differenti e numerosi spazi di condivisione in cui le persone manifestano la difficoltà ad affrontare gli attacchi o la loro impotenza nei confronti degli stessi.
Per fortuna, negli ultimi anni l’attività delle associazioni mediche e dei pazienti ha permesso il compimento di numerosi passi in avanti nella direzione opposta come:
- il riconoscimento dell’emicrania quale malattia invalidante;
- all’apertura di centri di riferimento e cura a livello locale;
- alla diffusione di una cultura terapeutica adeguata che eviti il fai da te;
- la predisposizione di piani assistenziali omogenei in tutte le Regioni.
Infatti, questi obiettivi sono diventati i pilastri su cui Sisc, Anircef, Federdolore-Sicd, Lic Onlus, Aic Onlus, Al. Ce Foundation Onlus, insieme ai farmacisti aderenti a Federfarma e con il patrocinio dell’Associazione di Iniziativa Parlamentare per la Salute e la Prevenzione hanno dato vita, nel 2014, all’Italian Migraine Project e scritto il Social manifesto per i pazienti cefalalgici.
A questo punto credo che sia auspicio comune che il percorso positivo intrapreso non si interrompa e porti presto a una piena coscienza della rilevanza sociale della patologia emicranica. L’esperienza insegna quanto sia fondamentale non perdere mai la connessione con il paziente e ascoltare le manifestazioni del disturbo che riferisce. Coltivando la ricerca di un feedback continuo tra chi cura e chi è assistito, si riusciranno a modulare correttamente l’uso dei farmaci disponibili e a predisporre le strategie terapeutiche future.