Lo scorso 21 Giugno, si è svolto a Ivrea il convengo AUDITA La gestione del malato con ipertensione e scompenso cardiaco, progetto presentato in un’intervista al TG5 da Angelo Testa, Presidente Nazionale SNAMI e medico di medicina generale.
Durante il convegno sono stati affrontati numerosi temi inerenti l’utilizzo dei farmaci nei pazienti con patologie cardiovascolari: le prescrizioni dei medicinali brand e bioequivalenti, la sostituibilità dei farmaci, la differenza tra i farmaci generici e brand, la confusione delle “scatolette” nei pazienti anziani, le cure e le responsabilità legali, penali e civili dei medici e dei farmacisti nella prescrizione del medicinale.
Su questi temi sono intervenuti numerosi relatori tra cui il cardiologo Francesco Vittorio Costa, professore associato di medicina interna e Presidente ASIAM – Associazione Interdisciplinare Aggiornamento Medico. Di seguito, riprendiamo alcuni concetti espressi dal Dr Prof. Costa durante il convegno.
Prescrizioni mediche e sostituibilità dei farmaci nel paziente con patologie cardiovascolari. Focus su ipertensione e scompenso cardiaco. Gran parte dei farmaci usati nella terapia cardiovascolare ha un corrispondente generico, e per molte molecole esistono in commercio decine di generici. Come tutti i medicinali generici, anche quelli cardiovascolari sono esentati dalla dimostrazione di efficacia, ma una metanalisi pubblicata su Jama nel 2008 ha sancito che dal punto di vista della validità clinica non sono diversi dai branded. Tuttavia, tale metanalisi presenta una serie di punti deboli, il principale dei quali è che molti degli studi fatti sono stati eseguiti su soggetti sani. Come si può valutare l’effetto antipertensivo di un farmaco in un normoteso, o l’effetto sullo scompenso in chi non ha alcun scompenso? I dati clinici in letteratura sono scarsissimi perché non richiesti dalle leggi vigenti, ma esistono alcuni studi sulle statine che confermerebbero la loro equivalenza terapeutica, anche se a un’analisi attenta, per alcuni, si osserva che la numerosità dei campioni studiati è troppo scarsa e la deviazione standard troppo alta per consentire conclusioni attendibili. La sostituzione in pazienti delicati come quelli con malattie cardiovascolari è un’operazione la cui utilità è stata messa in dubbio da parecchi esperti e che oltretutto comporta dei costi. Ogni cambio di terapia, infatti, implica la necessità di un aumento dei controlli clinici e di laboratorio e, inoltre, nei soggetti ipertesi è stato calcolato che chi cambia terapia costa il 20% in più rispetto a chi non la cambia. È un dato importante dal momento che l’utilizzo dei generici viene fatto esclusivamente per ragioni economiche. Va inoltre ricordato che per le patologie cardiovascolari il costo dei farmaci è una voce marginale perché ciò che costa sono gli eventi che portano ai ricoveri in ospedale. Le spese ospedaliere giustificano, infatti, il 73% dei costi totali della malattia coronarica, il 94% dei costi dell’ictus e l’80% circa dei costi dello scompenso cardiaco. Occorre quindi invertire la prospettiva e pensare ai farmaci come a un investimento utile a ridurre le spese future e, soprattutto, a migliorare lo stato di salute dei pazienti.
Aderenza e persistenza. Il problema della sostituibilità del farmaco. In un precedente articolo abbiamo chiarito i concetti di aderenza e persistenza al farmaco. Oggi, con il contributo del Dr Prof. Costa, torniamo a parlarne per approfondire un aspetto ben preciso dell’aderenza e della persistenza: la sostituibilità del farmaco.
Nella realtà clinica di tutti i giorni, i pazienti tendono a interrompere la terapia prescritta o a seguirla in maniera errata. In quest’ultimo caso – dosi, orari o modi di assunzione sbagliati – si parla di scarsa aderenza, mentre quando il paziente tende a sospendere prematuramente il trattamento si parla di scarsa persistenza. I principali fattori che interferiscono con l’aderenza e la persistenza dipendono sia da un rapporto medico-paziente poco buono sia da difficoltà legate all’assunzione del farmaco, in particolare la comparsa di effetti indesiderati o la sua scarsa efficacia.
Quando aderenza e persistenza diminuiscono, aumentano le complicanze della malattia e, di conseguenza, anche i costi. Ad aggravare la situazione ci sono i farmaci generici: se da un lato i generici favoriscono l’aderenza e la persistenza dato che i pazienti non devono pagare di tasca propria la differenza col brand, dall’altro lato l’uso dei farmaci generici si associa a una ridotta aderenza, e ciò è stato dimostrato per numerose famiglie di farmaci tra cui antidepressivi, bifosfonati e antipertensivi. Perché accade? Ci sono motivazioni complesse e molteplici perché, quando il farmaco originale viene sostituito, possono intervenire vari fattori che ne riducono l’aderenza e l’efficacia:
- Non equivalenza terapeutica tra generici e branded: per i farmaci generici non è necessario dimostrare l’efficacia clinica ma solo la bioequivalenza, cioè la similitudine (non l’identità) tra le concentrazioni plasmatiche nel tempo con un ampio margine di tolleranza rispetto al farmaco originale che va dal -20 al +25%;
- I generici sono tutti singolarmente bioequivalenti rispetto al branded ma non lo sono tra loro (bio-creep) e quindi passare da uno all’altro può portare a continue oscillazioni dei livelli ematici;
- I pazienti fanno confusione quando forma e colore delle compresse sono diversi da quelli cui erano abituati;
- I farmaci generici hanno un’efficacia ridotta rispetto a quelli brand;
- La letteratura presenta diversi casi in cui la sostituzione del brand col generico ha provocato seri problemi nel controllo delle malattie.
A differenza di quanto avviene negli USA, in Italia non esiste un Orange book, cioè un elenco dei farmaci generici interscambiabili tra loro, dunque il medico può arginare i rischi solo indicando nella prescrizione la clausola di non sostituibilità che vieta al farmacista di dare al paziente un farmaco generico.