Editoriale a cura del Dott. Paolo Fontana, Medico chirurgo e Senologo.
La mastectomia e l’asportazione delle ovaie come forma di prevenzione oncologica sono tecniche chirurgiche portate alla ribalta dalle scelte fatte dall’attrice Angelina Jolie. Quanto sappiamo di questi interventi? Allontanano davvero il rischio di cancro? Ne parla in un editoriale il Dott. Paolo Fontana, Medico chirurgo senologo di Siracusa.
Mastectomia e rimozione delle ovaie: cosa insegna il caso Jolie
È notizia di qualche mese fa che la signora Angelina Jolie si è fatta togliere le ovaie per non ammalarsi di tumore dopo che due anni fa si era sottoposta a mastectomia bilaterale preventiva per non rischiare il cancro al seno.
La signora Jolie è portatrice del gene Brca1 mutato, come sua madre, sua nonna e sua zia.
Una scelta così estrema ha suscitato un enorme interesse nell’opinione pubblica generando una corrente di pensiero tale da assumere i connotati di un fenomeno culturale.
La sua decisione è subito apparsa la soluzione, da una parte cambiando il modo di concepire la prevenzione, e dall’altra distogliendo l’attenzione dal ritorno di soluzioni chirurgiche radicali. Che sia un gesto coraggioso, non dipende tanto dalla sua specificità – come sarebbe ovvio ipotizzare – piuttosto dal significato che assume e dalla speculazione determinata dal cambiamento di tre fattori:
1. soggetto da curare: non più il tumore ma l’organo;
2. tempistica: asportazione dell’organo sano;
3. certezza del risultato: l’appiattimento quasi a zero del rischio.
Per una questione come questa, dichiarare in modo preliminare una personale convinzione è forse meno impegnativo che avere il coraggio necessario per scriverlo.
Per comprendere cosa significa essere portatrice del gene Brca1 mutato, in questo articolo fornisco un chiarimento diretto attraverso alcune informazioni che potremmo definire propedeutiche per capire come i risultati della ricerca portino alla formulazione di modelli assistenziali.
Cancro, mutazioni genetiche e verità scientifica: il punto
L’ultima decade ha testimoniato un’esplosione nella comprensione della genetica umana. La nostra conoscenza delle patologie è ora drammaticamente cresciuta e sappiamo che i geni contribuiscono alle malattie più comuni come quelle cardiache, il diabete e molti tipi di cancro.
In generale, il cancro inizia con un evento mutazionale che colpisce i geni di una singola cellula e progredisce attraverso l’acquisizione di ulteriori mutazioni che sono passati alla progenie in ogni divisione cellulare.
Le mutazioni genetiche che colpiscono le cellule somatiche non sono ereditate e cessano con la morte del paziente, mentre quelle che interessano la linea cellulare germinale possono essere trasmesse ai figli determinando quindi la loro predisposizione ad ammalarsi.
Attualmente non più dell’1% di tutti i geni umani sono cancer genes e di questi circa il 90% esibisce mutazioni somatiche e il 10% mostra mutazioni nella linea sia germinale che somatica.
La causa ereditaria di cancro clinicamente più importante comporta mutazioni nei geni Brca1 e Brca2 localizzati, rispettivamente, sul cromosoma 17 e 13. La loro rilevanza è legata alla sensibilità a sviluppare un tumore della mammella che, se nella popolazione generale è del 2-8%, nelle donne portatrici di mutazioni è del 50-80%, mentre il rischio di cancro ovarico, minore dell’1% nella popolazione generale, giunge sino al 60%.
Malgrado il numero limitato, circa il 5%, una caratteristica dei tumori con imprinting genetico è la loro maggiore aggressività.
In particolare, la mutazione del gene Brca1 è associata a un caratteristico bio-tipo di tumore mammario, il cosiddetto triplo negativo, una forma aggressiva che di solito colpisce le donne più giovani. Il triplo negativo rappresenta circa il 20% dei casi e poiché non presenta specifici obiettivi terapeutici, i trattamenti convenzionali sono poco efficaci, esponendo a un alto rischio di metastasi e di recidiva. Lo stesso vale per il cancro ovarico la cui prognosi, di per sé grave, è più critica in quelli con mutazione.
I tumori genetici sono quindi biologicamente diversi dalle forme sporadiche e in quanto tali richiedono una diversa strategia terapeutica.
Per avere una rappresentazione più chiara e sintetica, possiamo immaginare l’assetto biologico tumorale mammario come una piramide in cui all’apice stanno i tumori ereditari, al di sotto forme intermedie sino alla base occupata da quelli sporadici.
È necessaria una riflessione sul concetto di prevenzione e sul significato ancora impreciso di early cancer e nello specifico: quando possiamo definire un tumore in fase iniziale?
Spesso definiamo il cancro in base ai segni clinici facilmente osservabili e non vi è alcun dubbio che tale definizione retrospettiva, basata cioè sul suo comportamento clinico, ha scarso valore pratico, in particolare nella clinica, in quanto preclude un vero trattamento preventivo.
La mutazione ricercata attraverso un test genetico per definizione è probabilità, non certezza, ma entro i limiti del dato puramente statistico è un vantaggio per comprendere l’avvio e la chiave per individuare eventi precoci nella formazione del cancro, allo stesso modo di un’alterazione cellulare rilevata attraverso un esame microscopico.
Cura: attenzione alla persona prima che al paziente
A fronte di aspetti prettamente scientifici, stiamo assistendo a un cambiamento culturale del concetto di cura sempre più diretta alla persona prima che al paziente, dove ogni scelta terapeutica viene a priori condivisa e, nello specifico, troppo poco vengono ricordati i movimenti delle donne impegnate per l’affermazione della propria identità. Not on my body. Sul mio corpo decido io! Slogan che a prescindere del suo più reale significato ha contribuito allo sviluppo di interventi sempre più rispettosi dell’immagine femminile.
Detto questo, come medico devo impegnarmi in un lavoro che deve il più possibile sottrarsi a pregiudizi, pur tentando in qualche modo di preservarne le criticità.
Quel che comunemente si definisce obiettività scientifica sarà, se ci riuscirò, un risultato complessivo dei dati esposti, che auspico sarà accresciuto dalle riflessioni critiche e anche delle eventuali divergenze.
Quando si affronta un tema così specifico come la mastectomia e la rimozione dell’ovaio, le donne interessate hanno a che fare con la loro aspettativa e qualità di vita, i bilanci rischi/benefici/costi devono basarsi su tutto quanto è noto, tenendo presente che la decisione finale è fortemente influenzata dall’impatto psicologico delle informazioni ricevute che debbono essere il più possibile complete e aggiornate.
Escludendo quelle non chirurgiche, le varie opzioni preventive o risk-reducing surgery comprendono la mastectomia bilaterale profilattica, la mastectomia controlaterale profilattica e l’annessiectomia bilaterale.
Mastectomia conservativa
La mastectomia conservativa è una tecnica emergente che consiste nell’asportazione della ghiandola mammaria senza toccare la cute né il complesso areola-capezzolo, e associata all’uso di espansori che permettono di ottenere il volume più vicino possibile alla mammella normale.
I miei 30 anni di attività e ricerca scientifica mi hanno permesso di familiarizzare con le regole severe della medicina, tanto da rendermi conto come un “paradosso sintattico” applicato in questa disciplina abbia solo lo scopo di sollevare curiosità e confusione.
A ogni modo, la mastectomia bilaterale viene consigliata dopo i 25 anni di età, riduce il rischio di sviluppare un carcinoma mammario di circa il 95% e la mortalità del 90%.
Le donne affette da un tumore e con un test genetico positivo optano per un trattamento profilattico della mammella sana nel tentativo di annullare il rischio di cancro controlaterale che in questi casi è del 30-40% a 10 anni contro il 5% delle forme sporadiche.
Annessiectomia bilaterale profilattica
L’annessiectomia bilaterale profilattica riduce del 97% il rischio di carcinoma ovarico, del 50% il rischio di carcinoma mammario primario e del 30-50% il rischio di carcinoma controlaterale secondario. Questo tipo di intervento è associato a una riduzione complessiva di mortalità del 75%, è consigliato all’età di 40 anni e comunque dopo il completamento della prole. In quest’ultimo caso è indicato il trattamento ormonale sostitutivo approssimativamente fino all’età di 50 anni.
La divulgazione così massiccia, direi quasi propagandistica, a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni, ha contribuito all’aumento del numero di donne che, affette da una forma sporadica di tumore e per paura della recidiva del tumore controlaterale e dei trattamenti chemioterapici, richiedono con maggiore frequenza una mastectomia bilaterale. È un atteggiamento che sottolinea la confusione nel distinguere tra le diverse forme di intervento, quanto sia errata la percezione del rischio ad ammalarsi e, ancora oggi, la convinzione che la sopravvivenza dipenda dall’estensione dell’intervento chirurgico.
Questa è senza dubbio la visione dell’attuale orientamento terapeutico di fronte ai tumori genetici, ma è una visione parziale. La parzialità consiste nel fatto di non evidenziare a sufficienza il rapporto costo-beneficio. La probabilità che ha una donna di morire per le complicanze di un tumore mammario è circa 10 volte minore che per una patologia cardiologica; in Italia nel 2014 sono stati 12.000 contro 124.000.
Il rischio di sviluppare un tumore a causa del DNA ereditato è minimo, inferiore al 10% del totale. È stato stimato che in Italia vi siano circa 150.000 donne portatrici di mutazioni Brca1-2, ma non tutte svilupperanno la malattia; i geni Brca1 e 2 sono a penetranza incompleta ed espressività variabile e la storia clinica della malattia può essere diversa tra portatori della stessa mutazione.
Ogni anno sono circa 2.500-5.000 i casi di cancro mammario ereditario, meno del numero totale dei tumori dell’ovaio e 1/3 del numero annuale delle recidive mammarie.
Un test genetico negativo non esclude il rischio e, se positivo, la probabilità attribuibile a ciascuna differente mutazione è diversa se valutata nella popolazione generale o all’interno di famiglie ad alto rischio.
L’altra considerazione è di tipo speculativo e cioè se una donna con mutazione Brca1 possa effettivamente essere considerata malata. Gli americani hanno coniato il termine previvors, per indicare le donne che presentano un alto rischio sulla base dei test genetici o di esami citologici.
Per una previvors quali sono i confini tra profilassi e terapia?
In un’epoca in cui i programmi di screening consentono di diagnosticare tumori al di sotto del centimetro con una sopravvivenza del 95%, dove l’evoluzione dei trattamenti farmacologici sempre più efficaci si arricchisce di cure genetiche mirate per i previvors, mi chiedo se la mastectomia bilaterale profilattica non rappresenti un paradosso scientifico.
Nello studio Rotterdam Family Cancer Clinic di Bernadette A.M. Heemskerk-Gerrritsen, una donna previvors trattata con mastectomia profilattica, sviluppò dopo 4 anni una malattia metastatica, testimoniando i limiti del trattamento locale.
Fa parte del 3-4% dei cancri occulti? È probabile, ma sufficiente per ribadire che non è il trattamento locale che risolve un fenomeno così complesso come quello oncologico e comunque non possiamo considerare questa una soluzione sia essa maturata attraverso una vasta esperienza clinica.
Anche per chi, come me, ha compiti ben più modesti, è tempo di sintesi; non è l’intervento in sé, che pur discutibile, rappresenta una tipologia di trattamento, ma la sensazione che stia maturando la convinzione che una prevenzione risulta efficace solo se si asporta l’organo che potenzialmente si può ammalare. Una definizione di questo tipo può apparire plausibile in un sistema asettico lineare, in assenza di variabili ma non certo applicabile in un sistema biologico così complesso come quello oncologico.
Una comunicazione così aperta come è accaduto per la signora Jolie, se da un lato può calmare le paure delle donne dall’altro può risultare distorta e fonte di angoscia e mi riferisco in particolare alle donne appartenenti a famiglie con una forte storia di cancro mammario ma senza mutazioni, alle donne, generalmente giovani, con un tumore sporadico che optano per una scelta estrema della mammella controlaterale e le donne che in età giovanile hanno subito un trattamento radiante al torace generalmente per una patologia linfomatosa.
Al di là di semplici speculazioni, forse l’aspetto più rilevante è stata la semplicità con cui un argomento così delicato e complesso sia entrato nella nostra quotidianità stimolando noi medici a rileggere gli ultimi lavori e dando alle donne stesse modo di capire cosa sono le mutazioni BRCA1/2, quali sono i rischi, le opportunità diagnostiche e le alternative terapeutiche.
Il compito della scienza non è quello di fare tutto e sempre ma di fare con coscienza.
Per maggiori informazioni, contatta il Dott. Paolo Fontana.