Un recente film, Perfetti sconosciuti, affronta una tematica spesso sottaciuta ma emblematica della società contemporanea: i cellulari custodiscono i dettagli più rilevanti della nostra vita privata e informazioni strettamente personali che, in molti casi, conviene tenere segrete. Ma davvero noi italiani siamo ossessionati dall’idea che qualcuno possa avere libero accesso al telefonino e violare la nostra privacy?
Sì, almeno stando ai dati dell’indagine Eurodap – Associazione europea disturbi da attacchi di panico: il 90% degli italiani teme di dimenticare il proprio cellulare a casa dove potrebbe essere preso dai famigliari che leggerebbero messaggi, mail, chat e notifiche dei social network. La precauzione più immediata affinché ciò non accada è scegliere una password difficile e cambiarla spesso per evitare il rischio che qualcuno la scopra.
È un comportamento sintomatico di un’ansia crescente legata alla paura che, spiando il cellulare, altre persone possano scoprire una vita segreta o semplicemente una personalità diversa da quella mostrata pubblicamente. A essere così preoccupate sono persone di età compresa tra i 18 e i 60 anni, e gli adulti temono soprattutto il giudizio dei figli, del partner e degli amici più intimi.
La Dott.ssa Paola Vinciguerra, Presidente Eurodap, sottolinea quanto il telefonino sia diventato uno strumento tecnologico al quale affidiamo tante informazioni strettamente personali e dati sensibili, per questo, la sola idea di dimenticarlo o perderlo scatena paura, ansia e in casi sempre più frequenti anche attacchi di panico. Non solo abuso, dipendenza e finzione nei rapporti sociali: il cellulare diventa un mezzo con cui sentirsi liberi di mostrare una personalità del tutto diversa da quella manifestata nella vita reale, quella off-line. Se le persone più care riuscissero ad accedere a quei dati, sarebbero compromessi i rapporti sociali e quelli famigliari, avviando una spirale di situazioni spiacevoli che renderebbero sempre più fragile l’equilibrio psichico della persona scoperta.
La Dott.ssa Vinciguerra prosegue la sua riflessione dicendo: “la domanda che ci dobbiamo porre riguarda l’evidente malessere che serpeggia a tutti i livelli e che trova nell’uso della tecnologia e spesso nella costruzione di altre identità una via di soluzione. Bambini perfetti in casa, teppisti di strada fuori”.