Risalente a 2.500 fa e attribuita a Buddha, la meditazione come oggi la conosciamo ha molteplici sfaccettature e modalità di applicazione tali che sarebbe più corretto parlarne al plurale.
È rischioso dare alla meditazione una definizione perentoria, la si può presentare come un percorso di allenamento individuale e interiore per essere pienamente consapevoli degli automatismi della propria mente anche educando la respirazione. Gli obiettivi sono gestire i flussi mentali, staccarsi dal rimuginio verso il passato e dalle proiezioni nel futuro per allentare l’ansia fonte di stress e concentrarsi sul presente. Un termine associato alla meditazione è mindfulness che letteralmente significa consapevolezza e attenzione sollecita.
Dapprima considerata una moda new age, oggi la mindfulness è studiata anche degli scienziati per indagarne i fondamenti scientifici e, in termini medici, scoprire da quali meccanismi fisiologici dipendono i benefici dichiarati da chi fa meditazione.
Uno degli ultimi studi a riguardo ha interessato un team di ricercatori dell’Università di Oxford impegnati nell’analizzare la presenza di un legame tra la mindfulness e il minor rischio di ricaduta nella depressione. Lo studio si è basato sull’applicazione della Mindfulness Based Cognitive Therapy – MCT – cioè una combinazione tra terapia cognitiva e meditazione.
I ricercatori hanno analizzato 1200 pazienti con depressione grave e di diverso sesso, età, provenienza ed estrazione sociale, e attraverso nove trial clinici condotti in Regno Unito, Canada, Svizzera, Belgio e Olanda: il 38% dei pazienti trattati con terapia MCT ha avuto una ricaduta nella depressione dopo 60 settimane di follow up a differenza del 49% di quelli che non hanno seguito alcuna terapia. Chi ha meditato ha dimostrato una minore probabilità di recidiva durante le settimane di terapia e osservazione da parte dei ricercatori.
Perché la mindfulness contrasta la depressione? È bene sottolineare che la meditazione non è una cura alla depressione, ma avvia una serie di meccanismi capaci di invertire l’attività cerebrale responsabile della continua rielaborazione di eventi passati e di pensieri verso il futuro, entrambi convergenti in un circolo di riflessioni negative da cui la persona depressa non riesce a liberarsi. Durante la meditazione, si attua una sorta di ristrutturazione dei circuiti neuronali coinvolti: la persona che medita porta consapevolezza sulla struttura del pensiero tralasciandone il contenuto e si sofferma sulla respirazione, regola il respiro per ritrovare un nuovo ritmo interiore e mentale.
Questo è il risultato di un esercizio continuo, costante e attento che, sebbene non possa curare la depressione e altre forme di malessere, certo apporta benefici a corpo e mente, così come prova la scienza. Lo studio dei ricercatori dell’Università di Oxford è presentato in un articolo sulla rivista scientifica Jama.
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