19/06/1981 - Medicina e Chirurgia (Roma)
30/01/1982 - Albo Provinciale dei Medici Chirurghi di Taranto (Ordine della Provincia di TARANTO)
12/07/1985 - Radiodiagnostica (Roma)
1981 - Medicina e Chirurgia (Roma)
Scritto da
Prof. Dr Paolo Pavone
Pubblicato il
27/03/2013
Fonti:
Intervista del 08/11/2010
Il primo rischio coronarico. Le possibili cause di infarto sono presenti nei soggetti che fumano: il fumo infatti è il fattore di rischio più importante presente in Italia.
Un altro rischio coronarico può essere di natura genetica, quindi la familiarità.
Infatti un paziente che ha avuto un padre con un problema cardiaco, in giovane età o a 50-60 anni, è probabile che anche lui possa avere una malattia coronarica.
La stessa considerazione può valere per chi ha avuto un fratello maggiore con un problema coronarico. Il fratello minore andrà studiato perché è probabile che, per gli stessi motivi genetici, la malattia coronarica sia già in fase di sviluppo anche in lui.
La diffusione del rischio coronarico. Se si considera il rischio che deriva dalle dislipidemie, dall'ipercolesterolemia, o dall'ipertensione, ci troviamo di fronte ad una popolazione enorme. Infatti, su 100 persone, è difficile trovarne almeno 60 - 70 o addirittura 80 che non abbiano fattori di rischio. La popolazione da sottoporre a questo tipo di indagine è quindi molto vasta.
Oggi proporre una problematica di questo tipo a livello di prevenzione significa organizzare nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale un programma di screening anche se forse i tempi non sono ancora maturi a causa dei costi di gestione di queste procedure.
Il trattamento terapeutico. Se questo programma si attualizza dobbiamo sempre di più analizzare e riflettere sui nostri dati.
Sempre più spesso noi troviamo pazienti, come abbiamo evidenziato, che pur in assenza totale di sintomi di rischio coronarico, all'esame con la Tomografia computerizzata delle coronarie, presentano restringimenti molto importanti e cioè stenosi significative.
Prima ancora che compaia l'infarto passiamo alla fase successiva, che è quella di portare il paziente nella sezione angiografica e introdurre il catetere, attraverso un braccio, per un esame poco invasivo.
Se con questo esame il restringimento è confermato, come nella maggioranza dei casi, procediamo a introdurre uno stent per allargare l'arteria ed evitare così che il paziente vada incontro all'infarto.
Ricordiamo che lo stent è una struttura metallica cilindrica a maglie che si introduce nell'arteria e si espande fino a ridurne il restringimento (stenosi).
La posizione dello stent. Per la valutazione preliminare del posizionamento dello stent è decisivo l'utilizzo dell'imaging a colori per verificare le caratteristiche strutturali, sia interne che esterne, della parete del vaso sanguigno.
Il catetere al contrario vede soltanto il lume interno del vaso e in bianco/nero.
Le nuove tecnologie. Esistono due tecniche nuove: l'ecografia endovascolare (IVUS) e l'OCT
(Tomografia a coerenza ottica senza mezzi di contrasto).
Entrambe permettono di studiare la parete dell'arteria per verificare lo stato del cappuccio fibro lipidico che ricopre la placca coronarica responsabile del restringimento e quindi la riduzione del flusso sanguigno.
Queste due tecniche consentono quindi di prendere decisioni importanti e spesso determinanti.
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