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PROF.SIRAVO
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ESPERIENZA PERSONALE

LE DEGENERAZIONI TAPPETO-RETINICHE ,DI CUI LA RETINITE PIGMENTOSA E' IL CAPOSTIPITE,SONO SPESSO EVOLUTIVE E CON SCARSA POSSIBILITA' TERAPEUTICA!
ESERCITANDO LA MIA PROFESSIONE A PISA,HO AVUTO LA FORTUNA DI ESSERE L'AIUTO DEL PROF ALBERTO MARIA WIRTH E CON LUI ,INSIEME AD ALTRI MEDICI,ABBIAMO,ALLA FINE DEGLI ANNI OTTANTA,PROVATO UNA TERAPIA CHE CI HA PORTATO RETINITI PIGMENTOSE UN PO' DA TUTTA EUROPA!
LA TERAPIA NON HA COMUNQUE DATO I RISULTATI SPERATI!!PERO' CI HA PERMESSO DI AVERE UN' ESPERIENZA SULLA PATOLOGIA IN OGGETTO DAVVERO UNICA ED IRRIPETIBILE!!
DA QUI INIZIO' ANCHE UNA COLLABORAZIONE CON IL"Centro Internazionale di Retinite Pigmentosa" "CAMILO CIENFUEGOS"di l'Avana (Cuba) NELLA PERSONA DEL SUO DIRETTORE L'ESIMIO Prof.Orfilio Peláez Molina,AHIME' DECEDUTO.

iN TALE CENTRO SONO STATO PER AVERE UN'IDEA PERSONALE DI QUANTO SI STAVA STUDIANDO E FACENDO PER TALE PATOLOGIA.

Nel Centro Internazionale Oftalmologico "Camilo Cienfuegos" a La Habana, un gruppo di scienziati ha introdotto una terapia con interventi di microchirurgia oftalmica, a secondo dello stadio della malattia,E MOLTI DEI MIEI PAZIENTI SONO STATI DA ME INDIRIZZATI PER QUESTO MOTIVO A TALE CENTRO!
L' intervento non ha la pretesa di guarire la retinite pigmentosa , (IL prof Pelàez ha utilizzato la tecnica a Cuba fin dal 1987 ed ha operato 15.000 malati, 7.000 dei quali stranieri provenienti da USA, Canada e Europa - ha scritto nei suoi lavori che nel 75% dei casi si può fermare la progressione della malattia, nel 16 riesce a garantire un miglioramento del campo visivo e nel 9% non ha effetto, senza comportare rischi, a parte quelli di qualsiasi operazione agli occhi). L' intervento dell' oculista cubano consiste nell' inserire nell' occhio un tessuto che produce fattori di crescita in grado di ritardare la degenerazione delle cellule della retina, la membrana più interna dell' occhio, fondamentale per la visione. Il tessuto in questione è un peduncolo del tessuto adiposo (grasso) dei muscoli dell' orbita, che viene inserito dopo aver fatto un' incisione nella sclera (quella che comunemente si chiama «il bianco dell' occhio»), lasciandolo attaccato al suo tessuto di origine perché continui ad essere alimentato.
Sembrerebbe che le cellule di grasso, a contatto con i tessuti della retina, cominciano a produrre fattori di crescita che fanno regredire il processo di degenerazione che è alla base della malattia.
L' impianto di peduncolo di cellule adipose nel piano sottostante la sclera trova giustificazione scientifica nel fatto che queste cellule, soprattutto quando poste in ambiente diverso da quello a loro naturale, liberano fattori di crescita in maniera continua o, comunque, proporzionata ai deficit metabolici del tessuto.
Purtroppo, come ha detto anche Peláez, oggi la diagnosi della retinite pigmentosa avviene spesso a uno stadio avanzato e i malati, prima di affidarsi alle mani del chirurgo, aspettano anni.
Pertanto è importantissima la STADIAZIONE della malattia per poter intervenire!!!!


N.B.:TUTTO OVVIAMENTE TENENDO IN CONSIDERAZIONE CHE TERAPIA PER QUESTE PATOLOGIE NON ESISTE ALLO STATO ATTUALE ED E' SOLAMENTE MATERIA SPERIMENTALE.

QUINDI CHE SPERANZE VI SONO PER IL FUTURO?
Anche se a tutt’oggi non esiste ancora una cura efficace, molto numerosi sono i progetti di ricerca che promettono buoni risultati per il futuro, ecco i principali filoni oggi in fase di sviluppo: 1. TERAPIA GENETICA; quando sarà possibile si potrà forse modificare il DNA delle persone malate attraverso l’utilizzo di virus appositamente trattati. 2. CELLULE STAMINALI; sono cellule indifferenziate le quali una volta innestate sulla retina potrebbero svilupparsi come cellule fotorecettrici. 3. RETINA ARTIFICIALE; sono in corso numerosi progetti finalizzati a supplire l’attività retinica attraverso l’utilizzo di chip o altri supporti tecnologici. 4. FATTORI DI CRESCITA; sono sostanze che potenzialmente potrebbero consentire la riproduzione e lo sviluppo di nuove cellule nervose;FARMACOLOGICA:ACIDO VALPROICO


I ricercatori dell’Università del Massachusetts Medical School (UMMS) hanno trovato un trattamento nuovo per laretinitepigmentosa(RP), una grave malattia neurodegenerativa della retina che in ultima analisi porta alla cecità.
Valproic acid
“L’infiammazione e la morte cellulare sono componenti chiave della RP”, ha detto il dott Kaushal. “Sembra che l’acido valproico protegga le cellule visive dalla morte. Se le nostre osservazioni saranno ulteriormente suffragate da studi clinici randomizzati l’acido valproico a basso dosaggio potrebbe avere un enorme potenziale per aiutare le migliaia di persone affette da retinitepigmentosa”.
Leggi abstract:
Therapeutic potential of valproic acid for retinitis pigmentosa.
C M Clemson, R Tzekov, M Krebs, J M Checchi, C Bigelow, S Kaushal
Br J Ophthalmol Published Online First 20 July 2010
Fonte ed approfondimenti:
Esciencenews
In Italia l'acido valproico è commercializzato come DEPAKINE(Compresse 300 mg: sodio valproato 199,8 mg, acido valproico 87,0 mg corrispondenti a 300 mg di sodio valproato. >>Compresse 500 mg: sodio valproato 333 mg, acido valproico 145 mg corrispondenti a 500 mg di sodio valproato.) e per dire il vero,da quando è stato pubblicato il lavoro dei I ricercatori dell’Università del Massachusetts Medical School (UMMS)(giorgiobertin su luglio 21, 2010) abbiamo pensato di iniziare tale approccio terapeutico,visto il numero elevato di pazienti affetti da retinitepigmentosa che vediamo e abbiamo stabilito una dead line di risultati per il marzo 2011.
Ci incontreremo poi con i ricercatori dell’Università del Massachusetts Medical School (UMMS) per verificare se esiste un razionale terapeutico scientificamente provato in tale periodo!





Terapia genica nell’amaurosi congenita di Leber e delle Degenerazioni tappeto-retiniche con mutazioni nel gene RPE65 La terapia genica è potenzialmente in grado di revertire la malattia o prevenire ulteriore deterioramento della visione in pazienti con degenerazione retinica ereditaria e incurabile.

Uno studio di fase I ha valutato l’effetto della terapia genica sulla funzione della retina e sulla funzione visiva in bambini e adulti con amaurosi congenita di Leber(la stessa cosa vale per la Retinite Pigmentosa).

Sono state valutate la funzione della retina e quella visiva in 12 pazienti di età compresa tra 8 e 44 anni con amaurosi congenita di Leber associata a RPE65, sottoposti a una iniezione sottoretinica di virus adeno-associato contenente un gene che codifica per una proteina necessaria per l’attività isomeroidrolasica dell’epitelio pigmentato retinico ( AAV2-hRPE65v2 ) nell’occhio in condizioni peggiori a bassa [ 1.5 x 10(10) vettori ], media [ 4.8 x 10(10) vettori ] o alta dose [ 1,5 x 10(11) vettori ] fino a 2 anni.

AAV2-hRPE65v2 è risultato ben tollerato e tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento sostenuto nelle valutazioni soggettive e oggettive della visione ( adattometria al buio, pupillometria, elettroretinografia, nistagmo ).

I pazienti hanno mostrato un incremento di almeno 2 unità logaritmiche nella risposta della pupilla alla luce, e un bambino di 8 anni ha raggiunto circa lo stesso livello di sensibilità alla luce dei suoi coetanei senza problemi di vista.

Il miglioramento maggiore è stato osservato nei bambini: tutti hanno acquisito ambulatory vision ( percezione delle ombre ).

Dallo studio è emerso che la sicurezza, il grado e la stabilità del miglioramento della visione in tutti i pazienti sono a sostegno dell’uso della terapia genica mediata da virus adeno-associati per il trattamento di disturbi ereditari della retina.
Gli interventi più precoci sono associati a risultati migliori.

NUOVO POSSIBILE TERAPIA DA PISA

Dall’Università di Pisa parte la lotta alla retinitepigmentosa. La patologia, indicata anche con l’acronimo RP, è una malattia genetica dell’occhio che, a volte, può portare alla completa cecità. Si può manifestare sia in età avanzata sia precocemente, con un percorso degenerativo che può durare anche qualche anno. Gli individui che ne sono affetti, infatti, accusano inizialmente un adattamento difficile al buio, seguito da una costrizione del campo visivo periferico fino, in alcuni casi, alla totale perdita della vista.
Farmaco in sperimentazione. Grazie ad una ricerca dell’Ateneo pisano, dell’Università di Milano e del CNR di Pisa è in fase di sperimentazione un trattamento farmacologico capace di rallentare la patologia nella sua mutazione autosomatica recessiva. Lo studio è stato realizzato dal gruppo diretto dalla professoressa Maria Claudia Gargini del dipartimento di Psichiatria, neurobiologia, farmacologia e biotecnologie dell'Università di Pisa, dalla dottoressa Enrica Strettoi dell'Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa e dal professor Riccardo Ghidoni dell'Università di Milano. Hanno collaborato al progetto l'ingegner Paolo Gasco della Nanovector di Torino, la dottoressa Ilaria Piano del dottorato di ricerca in Scienze del farmaco e delle sostanze bioattive della facoltà di Farmacia di Pisa, la dottoressa Elena Novelli della Fondazione Bietti e la dottoressa Giusy Sala dell’Università di Milano.
Ricerca innovativa. “La ricerca – afferma Maria Claudia Gargini, professoressa presso il dipartimento di Psichiatria e ideatrice del progetto - è fortemente innovativa tanto che i primi soddisfacenti risultati sono stati recentemente pubblicati anche sulla rivista americana ‘Proceedings of National Academy of Sciences’. Il farmaco è una molecola, chiamata myriocin, che inibisce la morte cellulare agendo su una catena biochimica ben studiata fino ad ora in numerose patologie ma mai nella retinite pigmentosa”. La soluzione proposta dall’Università di Pisa, recentemente brevettata, non agisce sostituendo il gene, ma attivando una neuro protezione che rallenta il percorso degenerativo.
Test sui topolini e sperimentazione sull’uomo. Il farmaco viene somministrato con un trattamento non invasivo in forma di collirio, grazie all’impiego di nano particelle lipidiche. “Non era mai stato dimostrato – continua la professoressa Gargini – che dalla retina si potessero introdurre tali particelle. Questa è la vera novità”. Le gocce oculari, caricate della molecola inibitrice, sono state somministrate a topolini che riproducono in modo fedele la umana, andando incontro ad una progressiva degenerazione della retina ovvero laretinitepigmentosa che li conduce a cecità. La somministrazione del farmaco ha rallentato la degenerazione della retina mantenendone la struttura e la funzione per tutta la durata del trattamento e dando ottimi presupposti per la sperimentazione sull’uomo. “Ma ancora non possiamo dare tempi certi – conclude la professoressa Gargini – anche se ci hanno già contattato in molti per avviare questo tipo di test”.
Gli scienziati avrebbero assistito ai benefici derivanti dalla scoperta della ceramide, una particolare molecola lipidica che, fra l’altro, detiene anche fra le diverse funzioni pure quelle di essere un valido trasmettitore, neurotrasmettitore quando il segnale si sviluppa a livello cerebrale. Non a caso si approfondiscono le ricerche di queste particolari strutture per fronteggiare l’evolversi di malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson e il Morbo di Alzheimer.

Lo studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS avrebbe stabilito che coinvolti nella retinitepigmentosa sono proprio i fotorecettori che risentirebbero dell’azione della ceramide e dunque intervenendo su di essa è possibile rallentare la progressione della malattia stessa.
Lo studio che ha portato alla possibile cura della patologia è italiano ed è stato portato avanti dal team di studiosi capitanato da Enrica Stretto del CNR di Pisa e da Riccardo Ghidoni dell’Università degli Studi di Milano che hanno studiato in laboratorio l’azione della ceramide proprio sulle cellule ottiche, in particolare sui fotorecettori e per farlo si è agito con un’inedita sostanza, definita Myriocin che agirebbe proprio sulla produzione della ceramide. «La somministrazione del farmaco ha diminuito la quantità di ceramide a livello della retina – spiega Ghidoni -. Non solo, la molecola è stata in grado di aumentare il grado di sopravvivenza dei fotorecettori conservandone persino la normale struttura e funzione». Proprio quest’ultima caratteristica, valutata attraverso l’elettroretinogramma, ha dimostrato che l’occhio dei topi con ,retinitepigmentosa sui quali è stata sperimentata la sostanza, era in grado di rispondere agli stimoli luminosi.

Ma c’è di più, a rendere ancora più stupefacente la scoperta è la facilità di cura che otterrebbero i pazienti affetti da retinitepigmentosa. Infatti, alle fastidiose e dolorose iniezioni intraoculari, si sostituirebbe un particolare collirio che contiene nanoparticelle a base di myriocin. Una tecnica decisamente meno invasiva, che renderebbe il trattamento molto più fattibile e ben accettato qualora si rivelasse efficace e sicuro anche nell’uomo.


Tale riscontro segue di poco un altro successo della scienza medica ed ancora una volta in campo oculistico. Dall’America infatti ed in particolare dalla New York University, verrebbe la notizia secondo la quale un gruppo di 250 pazienti affetti da un’altra gravissima malattia,quale di fatto è la degenerazione maculare, avrebbe tratto grandi benefici da un farmaco, in particolare la Fenretinide(come da me già discusso in altriinterventi su questo forum) che di fatto, null’altro sarebbe se non un derivato della Vitamina A. Per dovere di informazione è utile ricordare che a tale vitamina da sempre sono ascritte doti anche in campo oculistico, ma mai fino a questo punto.
La notizia che ci proviene d’oltreoceano offre però una variante rispetto allo studio scientifico italiano sia pure orientato verso un’altra patologia. Lo studio statunitense infatti sarebbe giunto al punto di creare le condizioni necessarie per poter arrestare, sia pure ancora sperimentalmente, la malattia, senza però intervenire sul danno già avvenuto. In pratica, il malato di degenerazione maculare che si rivolge domani alla cura con Fenretinide assiste ad un arresto della patologia per effetto dell’azione del farmaco che preserverebbe le cellule ancora non danneggiate dalla patologia. Per quelle che hanno sofferto l’aggressione della malattia, non resterebbe ancora molto da fare. Anche se per le cellule distrutte da questa patologia, da altri ambienti scientifici giungono notizie molto confortanti, da quando si è appreso di prossime cure a base di cellule staminali.



NOVITA' SULLA retinitepigmentosa
A)RETINA ARTIFICIALE DA CELLULE EMBIONALI
retine trapiantabili per la cura di malattie come la retinitepigmentosa
Un retina artificiale da staminali embrionali


La struttura composta da otto strati di tipi cellulari differenti è stata ottenuta grazie a una sofisticata tecnica di differenziazione delle staminali



Una sofisticata tecnica di differenziazione delle cellule staminali ha permesso a un gruppo di ricercatori dell’Università della California di creare la prima struttura retinica composta da otto strati di tipi cellulari differenti. Si tratta della prima struttura tissutale tridimensionale ottenuta con cellule staminali, il primo vero passo verso lo sviluppo di retine trapiantabili per curare gravi malattie quali la retinitepigmentosa o la degenerazione maculare.

Il direttore della ricerca Hans Keirstead, insieme al suo gruppo di ricerca, si era precedentemente dedicato a studi sulle lesioni del midollo spinale. In questa sede aveva progettato una metodologia di differenziazione delle cellule staminali, proprio per permettere la ricreazione dei diversi tessuti.

La creazione del tessuto retinico è una delle derivazioni di questo metodo, che però non è semplice come sembra. I ricercatori, per permettere lo sviluppo della prima retina, hanno infatti avuto bisogno di perfezionare una tecnica ingegneristica estremamente sofisticata, necessaria per creare tutte le tipologie cellulari che compongono la retina, e soprattutto per innescare la differenziazione cellulare. Era infatti necessario calibrare con precisione millimetrica gradienti microscopici delle particolari sostanze nelle quali vanno immerse le cellule staminali che diverranno poi tessuto retinico.
"Abbiamo prodotto una struttura complessa formata da molti tipi cellulari", ha spiegato Hans Keirstead, che ha diretto la ricerca e firma con i collaboratori un articolo in corso di pubblicazione sul Journal of Neuroscience Methods. "Si tratta di un grande progresso nella sfida alle malattie della retina."

In studi precedenti sulle lesioni al midollo spinale, il gruppo di ricerca di Keirstead aveva progettato un metodo in cui le cellule staminali embrionali umane potessero indirizzarsi a diventare cellule di uno specifico tipo cellulare.

In questo studio i ricercatori hanno utilizzato la tecnica di differenziazione per creare i molteplici tipi cellulari necessari alla retina. La sfida maggiore, ha detto Keirstead, è stata la loro ingegnerizzazione. Per mimare i primi passi dello sviluppo retinico, i ricercatori hanno infatti avuto bisogno di bisogno di mettere a punto una tecnica ingegneristica che permettesse di creare ben calibrati gradienti microscopici di sostanze atte a indirizzare la differenziazione cellulare nelle soluzioni in cui sarebbero state immerse le cellule staminali.

I ricercatori hanno iniziato alcuni test sperimentali su modelli animali per valutare il livello di miglioramento della visione che può essere offerto da queste strutture retiniche. In caso di risultati positivi potranno essere successivamente iniziati test clinici.
I test sperimentali sono ora in fase di esecuzione su modelli animali, per valutare il livello di miglioramento della visione che queste strutture possono apportare. Appena i risultati positivi
saranno riscontrati i test clinici veri e propri avranno inizio.

B)Terapia genica della retinitepigmentosa

Secondo un gruppo di studio dell'università USA di San Diego California l'ereditarietà condurrebbe alla mutazione di una proteina preposta alla eliminazione dall'epitelio della retina di materiale come residui cellulare e patogeni.
L'anomalo funzionamento della proteina porterebbe ad accumuli di scarti sull'epitelio della retina ed alla perdita di funzionalità di coni e bastoncelli.
I ricercatori hanno provato ad inserire tramite un virus vettore (un rinovirus del raffreddore) una versione corretta della proteina MERTK che potrebbe essere responsabile della malattia.
La terapia è stata già provata con successo su animali da laboratorio.
Su alcuni pazienti affetti da patologia simile alla retinitepigmentosa è cioè l'amaurosi di Leber l'approccio ha dimostrato una buona efficacia.
La speranza è di iniziare la fase di sperimentazione clinica alla fine del 2010.

alorodopsina archeobatterica



Il dott. Botond Roska dell'Istituto Friedrich Miescher e il suo team di neurobiologi hanno sperimentato una terapia genetica usando alorodopsina archeobatterica, una proteina fotosensibile che recupera la funzionalità delle cellule coni danneggiate. Il loro studio ha mostrato che la rete di cellule esistente era in grado di riprodurre molte delle complicate funzioni che trasformano la luce in un segnale neuronale. Secondo il team, le cellule inattive rappresentano un'importante via per l'intervento terapeutico in quelle malattie nelle quali si perde la funzione dei fotorecettori. "Crediamo di aver trovato un metodo terapeutico valido che potrebbe in definitiva contribuire a far scendere il numero di pazienti di retinite pigmentosa," ha detto il dott. Roska. Ha aggiunto che il team sta attualmente esaminando i pazienti per selezionare quelli che potrebbero trarre maggior beneficio dalla nuova terapia.


Prof.Duilio Siravo

siravo@supereva.it

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Cell.:3385710585
 
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