Indietro

Prof. Dr Giorgio Calabrese

Specialista in Scienze dell'Alimentazione

Menu
laurea

    09/11/1977 -Medicina e Chirurgia (Catania)

    Iscrizione all'albo

    10/03/1978 - Albo Provinciale dei Medici Chirurghi di ASTI (Ordine della Provincia di ASTI)

    Specializzazione

    09/07/1987 - Scienza dell'Alimentazione Indirizzo Nutrizionistico (Pavia)

    Abilitazione

    1977 /2  - Medicina e Chirurgia (Catania)


Friggere si può, ma con l’olio d’oliva e seguendo molte regole



Scritto da
Prof. Dr Giorgio Calabrese

Pubblicato il
02/02/2009

Fonti:

Pubblicato su A Tavola – Febbraio 2009

Da dove proviene il termine friggere. Il termine friggere, con ogni probabilità, ha origine onomatopeica ovvero, è una di quelle parole che si pronunciano riprendendo il suono stesso dell’atto: il friggere, nel nostro caso.

Si desume cioè il termine dallo sfrigolamento, il classico brusio-rumore dei grassi portati ad alta temperatura.

Friggere va ricondotto al latino FRIGERE, al greco PHRYGEIN e al sanscrito BHRGGATI che significa arrostire.

Il contatto diretto dell’alimento col fuoco è certamente il primo, e per parecchio tempo l’unico, modo di cucinare gli alimenti.

I semi delle granaglie si arrostivano, ma, ancor di più, le carni, che al diretto contatto della fiamma provocavano lo scioglimento dei grassi naturalmente presenti nella parte muscolare.

Anche la presenza di acqua frammista e contenuta negli alimenti, a contatto col fuoco diretto o col grasso ad alta temperatura, causa un crepitio ancora più vigoroso, per l’improvviso cambiamento di stato da liquido a vapore.

Forme più delicate di cottura nacquero in seguito, come la cottura in forno.

 

Friggere che passione. Un dato è certo: la frittura, eseguita con l’ausilio di un basso tegame o padella in cui è contenuto un grasso, è una forma popolare di cottura, perché immediata e povera, non necessita cioè di molti elementi.

Di antiche friggitorie a cielo aperto nelle strade cittadine si ha memoria, per esempio, nella vecchia Pompei.

Anche la nostra amata pizza a Napoli la si friggeva immediatamente fuori bottega per i passanti.

Anzi, per i poveri più poveri quel pezzo di pasta fritta fungeva anche da piatto, se si aveva la buona ventura di un po’ di companatico.

 

Una legge del Ministero della Salute. Oggi, con i vari strumenti di cottura a nostra disposizione, scegliere di friggere è una pratica culinaria non salutista e spesso addirittura dannosa alla salute.

Le modificazioni chimiche nella frittura portano alla formazione di prodotti polari (volatili o non) che comportano delle modifiche del valore nutrizionale e delle caratteristiche organolettiche dell’alimento.

Si pensi che la frittura, a differenza di tutte le altre tecniche, ha spinto il Ministero della Salute a fare una Legge (N°1 dell’11 gennaio 1991)  per regolare materie prime e tecnica per friggere gli alimenti. Durante la frittura si evidenzia una serie di cambiamenti fisico-chimici a causa dell’ossidazione dei trigliceridi con formazione di perossidi, derivati carbonilici, acidi grassi liberi e polimeri, composti volatili polari di varia natura.

Queste reazioni sono tossiche prima per lo stomaco e poi per il fegato che accusa una grave situazione metabolica tutte le volte che un cibo fritto entra nel nostro apparato digerente.

Il cuore e l’apparato cardio-circolatorio subiscono lentamente, ma inesorabilmente, l’azione ossidativa dei prodotti di derivazione della frittura.

Il piatto, che rappresenta in modo più esplicito il concetto di frittura,è quello delle patatine fritte.

 

L’acrilamide. È bene sapere le ultime novità al riguardo. Di recente si è scoperto che in pietanze contenenti amido e in diverse fritture si forma una sostanza tossica: l’acrilamide.

Si sospetta che questa sostanza favorisca l’insorgenza di tumori a causa di una possibile mutazione capace di generare alterazioni genetiche nel DNA.

L'acrilamide ad alte dosi è riconosciuta come una neurotossina umana, cioè dannosa alle cellule del cervello; si trova nel fumo di sigaretta e in 750 alimenti.

 

Friggere con l’olio d’oliva. Le differenze nel contenuto in acidi grassi degli oli e dei grassi sono di primaria importanza nel determinare la stabilità al riscaldamento.

In particolare gli oli e i grassi ad alto grado di insaturazione (soprattutto polinsaturi) sono meno indicati, in quanto meno stabili, ai trattamenti termici prolungati e ripetuti.

L’olio d’oliva è da considerarsi fra quelli più stabili.

Per prevenire possibili rischi per il consumatore, l’Istituto Superiore di Sanità  ha ritenuto opportuno che il tenore di composti polari non superasse i 25 g/100g negli oli e nei grassi utilizzati per friggere gli alimenti.

Non v’è dubbio che l’emanazione del Decreto Ministeriale rappresenta un valido strumento di tutela della salute del consumatore da rischi derivanti da usi impropri degli oli e dei grassi nella frittura.

 

Raccomandazioni per l’uso degli oli e dei grassi per friggere.

   - Utilizzare per la frittura solo gli oli o i grassi alimentari idonei a tale trattamento in quanto più resistenti al calore.

   - Curare un’adeguata preparazione degli alimenti da friggere, evitando per quanto possibile la presenza di acqua e l’aggiunta di sale e spezie, che accelerano l’alterazione degli oli e dei grassi, e che quindi vanno aggiunti dopo aver fritto.

    - Evitare tassativamente che la temperatura dell’olio superi i 180°C.Temperature superiori accelerano infatti l’alterazione degli oli e dei grassi. È opportuno quindi munire la friggitrice di un termostato.

   - Dopo aver fritto è bene agevolare mediante scolatura l’eliminazione dell’eccesso di olio assorbito dall’alimento.

   - Provvedere ad una frequente sostituzione degli oli e dei grassi. Vigilare sulla qualità dell’olio durante la frittura, tenendo presente che un olio molto usato si può già riconoscere dall’imbrunimento, dalla viscosità e dalla tendenza a produrre fumo durante la frittura.

    - Filtrare l’olio usato, se ancora atto a friggere, su idonei sistemi e/o sostanze inerti (coadiuvanti di filtrazione); pulire a fondo il filtro e la vasca dell’olio. Le croste carbonizzate, i residui oleosi-viscosi o i resti di un olio vecchio accelerano l’alterazione dell’olio.

   - Evitare tassativamente la pratica della ricolmatura (aggiunta di olio fresco all’olio usato). L’olio fresco si altera molto più rapidamente a contatto con l’olio usato.

   - Proteggere gli oli ed i grassi dalla luce.



clicca per votare






Commenti

Attenzione per poter inviare il tuo commento devi effettuare l'accesso con le tue credenziali oppure Registrati
Commenta anche tu
lascia la tua e-mail per ricevere aggiornamenti e notizie



Desidero ricevere comunicazioni promozionali e newsletter da parte di ABCsalute s.r.l. come specificato all' art.3b


   Iscriviti alla Newsletter   
Grazie per esserti registrato alla newsletter di ABCsalute.it

ABCsalute S.r.l. ora axélero S.p.A. Copyright 2009 - 2024 ©Tutti i diritti riservati - C.F./Partita IVA IT 07731860966
Sede Legale: via Cartesio, 2 20124 Milano - Cap. Soc. € 68.000,00 i.v - R.E.A. Milano n. 1978319 - N.Telefono +39 02 83623320 - info@axelero.it

Aggiornato al 18/07/2024 - Il sito si finanzia con gli abbonamenti dei medici inserzionisti e non riceve finanziamenti dalla pubblicitĂ  o dalla visualizzazione di contenuti commerciali.
Il contenuto editoriale del sito non è influenzato dalle fonti di finanziamento.