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Pubblicato il 27/07/2012
Modificato il 27/07/2012
Da 24 anni una bambina, nel frattempo diventata una donna di 29, residente in valle di Susa, nel Torinese, è in coma per l'errore di un medico di base che non le somministrò un farmaco antichoc dopo una vaccinazione obbligatoria.
La sua mamma, Antonella Scarpanti, che oggi ha 46 anni, non potè più lavorare e fu abbandonata dal marito. Intentò una causa civile contro l'azienda sanitaria, ma dopo anni il giudice di primo grado le diede torto.
Nei giorni scorsi, invece, la Corte d'appello ha condannato la Regione Piemonte, subentrata alla disciolta azienda sanitaria, a risarcirla con 1,8 milioni di euro più gli interessi e le spese legali.
'E' un risarcimento record, mai accordato per ragioni di questo tipo - spiegano i legali del pool che ha assistito la donna in questi anni - e una sentenza che sancisce la responsabilità civile dell'azienda sanitaria per l'errore del medico di base, che in questo caso è deceduto nel frattempo''.
Il pediatra - secondo una consulenza tecnica d'ufficio - non le somministrò del cortisone nei cinque giorni successivi alla vaccinazione e dopo la comparsa dei sintomi dello choc.
Il farmaco avrebbe evitato che entrasse in stato vegetativo dopo una vaccinazione antidifterite-tetanica alla quale era stata sottoposta negli ambulatori della Usl nel 1988, quando aveva cinque anni.
La famiglia della bambina abitava a Bussoleno (Torino). Subito dopo la vaccinazione che le era stata fatta negli ambulatori della disciolta Usl 36, la piccola aveva manifestato febbre alta, dolori alle gambe, cefalea e dissenteria.
Il medico di base si rifiutò di somministrarle farmaci e il quadro clinico si aggravò fino a quando la piccola entrò nello stato vegetativo in cui si trova ancora oggi. Dopo la sentenza, la madre è ''al settimo cielo, ma stremata dopo 24 anni di questa vita'', dice Antonella Scarpanti.
''Non riesco a esultare dopo tutto quello che ho dovuto sopportare e subire perchè si è' trascinata per anni una situazione che si doveva chiudere subito. La mia bambina era sanissima e invece ho dovuto convivere con una cerebrolesa.
Adesso - conclude - il risarcimento mi rende più tranquilla per il fatto che, se accade qualcosa a me, qualcuno potrà provvedere a lei''. ''Questa sentenza - dicono gli avvocati Renato Ambrosio, Stefano Bertone e Marco Bona dello studio legale Ambrosio e Commodo, che hanno assistito la mamma - ha restituito dignità alla madre dopo anni di sofferenze e problemi economici. Quello del processo è stato un periodo molto difficile per lei e anche per noi, ma la vittoria in appello ci ripaga di tutte le sofferenze subite''.
La sentenza rende i legali ''del tutto soddisfatti sotto il profilo del diritto, perchè, per la seconda volta in Italia, viene riconosciuto il principio secondo cui l'azienda sanitaria risponde dell'errore del medico di base.
Sotto il profilo economico siamo soddisfatti soltanto parzialmente, perchè per esempio viene stabilito un risarcimento di soli 5.000 euro all'anno per il mancato lavoro potenziale della bambina una volta cresciuta''. A pagare la somma dovrà essere, salvo ricorso in Cassazione, la Regione Piemonte, ''in quanto - sostengono i legali - dopo la scomparsa delle Usl e la formazione delle Asl, la Regione si accollò tutti i debiti pregressi delle Usl, compresi quelli accumulati successivamente al loro scioglimento.
Speriamo - concludono - che non vi sia un ricorso che farebbe slittare il risarcimento di altri anni: la nostra cliente è povera e ha già fatto tanti sacrifici in questo lungo periodo in cui è stata l'unico appoggio per la figlia''.
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Fonti:
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