Pubblicato il 02/03/2017
Modificato il 20/04/2017
La parola eutanasia significa letteralmente morte bella. È entrata nel nostro linguaggio comune in relazione alla dolce morte con riferimento alle pratiche di fine vita senza dolore richieste da coloro che non tollerano di sopravvivere in gravi e irreversibili condizioni fisiche e mentali a seguito di malattie o incidenti.
L’eutanasia può essere attiva o passiva. L’eutanasia attiva presuppone la presenza di qualcuno che ponga fine alla vita di una persona che ne ha fatto espressamente richiesta purché consenziente e in condizioni di salute tali da essere insanabili e ritenute non dignitose secondo l’insindacabile intendimento dell’interessato. In Italia l’eutanasia attiva è un reato penale normato dall’art. 579 – omicidio del consenziente – e dall’art. 580 – Istigazione o aiuto al suicidio – del Codice Penale.
L’eutanasia passiva si concretizza con l’interrompere la somministrazione di farmaci e terapie superflue ai fini di un miglioramento delle condizioni di salute del paziente e utili solo a tenerlo in vita. L’autodeterminazione figura tra i diritti inviolabili dell’uomo nell’art. 2 della Costituzione italiana ed è tutelata dall’art. 32 che sancisce la sospensione delle cure come un diritto inviolabile: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. L’eutanasia passiva è da considerarsi una forma di rifiuto dell’accanimento terapeutico.
Con l’espressione accanimento terapeutico si fa riferimento alla documentata inefficacia di un trattamento terapeutico scaturita dal rapporto tra l’insieme di terapie sanitarie eseguite e i relativi ed effettivi benefici. Nell’accanimento terapeutico i trattamenti medici mirano a mantenere in vita il paziente intensificando la sofferenza senza apportare un miglioramento delle condizioni di salute.
La sedazione profonda è una forma di eutanasia passiva attraverso l’uso di potenti farmaci che compromettono il cuore e causano una sorta di sonno molto profondo fino al sopraggiungere della morte.
Con il suicidio assistito il soggetto pone materialmente e personalmente fine alla propria vita con l’aiuto di un medico o altre persone. L’aiuto esterno consiste nell’organizzare il ricovero, gestire l’aspetto tecnico e post mortem, preparare il mix di farmaci letali che il paziente stesso provvede a somministrarsi scegliendo la modalità più adeguata alle proprie possibilità di movimento.
La differenza tra eutanasia e suicidio assistito risiede nelle implicazioni etiche e nella responsabilità personale. In Italia il suicidio assistito, così come l'eutanasia, è punibile dagli articoli 575, 579, 580 e 593 del Codice penale.
Il testamento biologico o DAT – Dichiarazioni Anticipate di Trattamento – è un documento che raccoglie le indicazioni di una persona che, in perfette condizioni di salute fisica e mentale, indica a quali terapie ricorrere e quali trattamenti sanitari escludere nel caso in cui, per malattia terminale o a seguito di grave incidente, si venisse a trovare in condizioni tali da non poter esprimere la propria volontà.
Riconoscere e attuare il testamento biologico servirebbe a rispettare il diritto all’autodeterminazione della persona e a escludere l’incertezza sul cosa fare o non fare per assistere una persona in gravissime condizioni di salute.
Insieme all’Irlanda, l’Italia è l’unico paese UE in cui non esiste una legge sul testamento biologico anche se la discussione a riguardo è iniziata nel 2008. Il vuoto legislativo italiano sul DAT dipende dalla mancata ratifica della Convenzione di Oviedo, il Trattato internazionale di bioetica redatto e sottoscritto nel 1997 su sollecitazione del Consiglio d’Europa e che, tra le altre cose, definisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. Il Trattato internazionale di bioetica è entrato in vigore nel 1999, l’Italia l’ha recepito nel 2001 ma il Parlamento non ne ha mai votato la ratifica. Ne consegue che l’ordinamento italiano non è adeguato ai principi della Convenzione di Oviedo e che, tecnicamente, il trattato non ne fa parte.
In Parlamento sono depositate sei proposte di legge sul fine vita e il 13 marzo 2017 si discuterà in aula il Ddl intitolato “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”.
Il Decreto legge “consta di 14 articoli nei quali si dispone in merito al consenso informato, alle disposizioni anticipate dei trattamenti sanitari, alla possibilità di nominare fiduciari, nonché rappresentanti in assenza di disposizioni anticipate e di testamento biologico”. In sintesi, prevede che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”, che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso”, che “è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale”. Il testo stabilisce anche che il paziente “non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge e alla deontologia professionale”.
In attesa della discussione in Aula del 13 marzo, è possibile leggere integralmente il testo delle sei proposte di legge in materia di consenso informato, di disposizioni anticipate di trattamento e di testamento biologico.
Le principali novità apportate dall’Aula della Camera al Ddl biotestamento.
Aggiunta dell’art. 1-bis su Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita: "Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un'appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l'erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38. Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico".
Soppressione del comma 6 dell'art. 1: "Il rifiuto del trattamento sanitario indicato dal medico o la rinuncia al medesimo non possono comportare l'abbandono terapeutico. Sono quindi sempre assicurati il coinvolgimento del medico di famiglia e l'erogazione delle cure palliative".
Il medico può rifiutarsi di applicare le volontà del paziente senza subire conseguenze derivanti dalla sottrazione dello svolgimento dell’obbligo professionale. Questa disposizione di legge è già stata ribattezzata obiezione di coscienza mascherata.
Tutte le strutture sanitarie sono tenute ad applicare i principi del Ddl biotestamento, comprese le cliniche private e gli istituti religiosi.
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