Scritto da Francesco S. Cantù, giornalista pubblicista (Ordine giornalisti della Lombardia) tessera N° 118321
Pubblicato il 07/10/2009
Modificato il 07/10/2009
Il cheratocono è una patologia corneale che fa vedere le immagini distorte ed è legata a una debolezza strutturale della cornea, una distrofia corneale progressiva non infiammatoria, che per l’85% dei casi colpisce entrambi gli occhi.
Il cheratocono è una graduale modificazione della curvatura corneale che fa sì che la cornea assuma una forma conica, generando distorsioni delle immagini e una visione confusa da vicino e da lontano e che porta il paziente a dover cambiare spesso occhiali o lenti a contatto. Il cheratocono può essere ereditario e di solito interessa pazienti con età compresa tra i 15 e i 25 anni. Insorge quando la parte centrale della cornea inizia ad assottigliarsi e a incurvarsi progressivamente verso l'esterno. Il paziente lamenta una diminuzione della vista, soprattutto da lontano. La qualità della visione continua a peggiorare irreversibilmente. Dopo qualche anno compaiono i sintomi del cheratocono: l'occhio diventa più brillante e gli oggetti appaiono deformati. Le lenti a contatto spesso correggono questo difetto meglio degli occhiali, ma talvolta il cheratocono è così grave che spesso anche le lenti non possono essere più usate, ecco perché nei casi particolarmente gravi può essere necessario il trapianto di cornea.
In presenza dei primi sintomi è bene farsi controllare da un oculista dato che a volte il cheratocono è scambiato per una miopia associata ad astigmatismo. Se la malattia viene trascurata, la sommità si ulcera; compaiono dolore, lacrimazione e spasmo delle palpebre. Altro strumento per la diagnosi di questa patologia è la topografia dell'occhio: consente una “mappatura” che mette in evidenza la deformazione della cornea. Questo esame può essere effettuato presso molti laboratori pubblici o privati.
1. Il cheratocono è una malattia diffusa?
È classificata come malattia rara.
2. Si può correggere il cheratocono con le lenti a contatto?
Si utilizzano lenti a contatto rigide, ma solo per le forme più lievi.
3. È possibile intervenire chirurgicamente?
Per le forme meno avanzate di cheratocono si può eseguire un intervento per regolarizzare la curvatura corneale centrale, mediante l'introduzione internamente al tessuto corneale di anelli di materiale plastico.
4. Quale altro intervento è consigliato per un cheratocono grave?
Le forme più gravi, che sono progressive e che conducono a un assottigliamento della cornea, necessitano di intervento chirurgico come il trapianto della cornea stessa, chiamato cheratoplastica.
5. Come si esegue il trapianto?
Viene sostituita la parte centrale della cornea con un lembo di circa 8 mm di diametro prelevato da un donatore. Il recupero visivo è lungo, anche 1-2 anni, e richiede mesi di terapia immunosoppressiva con l'utilizzo di steroidi.
6. Dopo quanto tempo si toglie la sutura?
Solitamente dopo 6-18 mesi.
7. C’è il rischio di rigetto?
Nel 10-15% dei casi può verificarsi un rigetto, che quasi sempre può venire curato farmacologicamente, senza dovere ripetere il trapianto.
8. Vi sono interventi chirurgici alternativi alla cheratoplastica?
Dal 2002 è stata introdotta la cheratoplastica lamellare. In pratica, non viene sostituita l'intera cornea, ma solo lo spessore esterno, quello colpito dal cheratocono.
9. Che cosa si intende per inserti intracorneali?
È un intervento chirurgico relativamente recente in cui si utilizzano inserti intracorneali e consiste nell’impiantare microscopici inserti di materiale sintetico trasparente appena sotto la superficie dell’occhio, alla periferia della cornea. Il risultato che ne consegue è quello di una cornea più piatta e di una visione più nitida.
10. In che cosa consiste il cosiddetto cross-linking?
È una metodica sperimentale per la cura del cheratocono evolutivo, detta di cross-linking del collagene corneale mediante riboflavina ultravioletto A. Essa appare molto promettente nell'arrestare o rallentare la progressione del cheratocono, migliorando l'acutezza visiva nel 65% dei pazienti trattati.
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