Secondo il sapere psicologico e antropologico, la forma tipica della genitorialità è quella edipica, formata dal triangolo madre, padre e bambino. La presenza del padre, e in particolare il suo intervento, la sua funzione paterna, a un certo punto dello sviluppo impedisce il legame esclusivo tra madre e figlio, facendo valere il tabù dell’incesto, come prima norma che segna la differenza tra natura e cultura (segno dell’umano) e orienta al legame sociale, agli scambi. Il padre fa valere una legge ma mette in gioco, proprio in quanto uomo che ama e desidera la madre (e dalla quale è amato), anche un desiderio che umanizza la legge. La madre e la sua funzione materna sono una presenza fondamentale per trasmettere un interesse particolare nelle cure, un’attenzione, un attaccamento non solo materiale, e indirizzato a quel bambino e non a un altro.
La coppia dei genitori formata da persone di sesso diverso confronta il bambino con la differenza sessuale e la differenza in senso più ampio, e ne permette l’avvio dell’elaborazione, importante per l’articolazione del linguaggio, della vita psichica e delle relazioni. La realtà e il linguaggio sono fatti di differenze e così articolati, resi mobili e aperti ai rapporti.
Il bambino riflette sulla propria storia, sulla propria origine, chiedendosi da dove è venuto, alla ricerca del desiderio e del legame d’amore da cui è nato e interrogandosi sugli aspetti del mondo in cui è arrivato, sul suo funzionamento ama anche sulle sue contraddizioni e mancanze: rispetto al complesso di risposte che gli verranno date (conteranno moltissimo i modi e lo stile affettivo) e che si darà, il bambino troverà la propria identità e il proprio posto nel mondo. Ogni bambino, oltre alla nascita biologica, ha da affrontare una nascita soggettiva, psicologica.
In questo senso, ogni bambino è figlio soprattutto di un desiderio, sempre figlio “adottivo”. Il legame di filiazione non è solo biologico, ma è sempre anche e in gran parte costruito, non è già dato. Il processo di filiazione, attraverso cui ci si sente figli di qualcuno che sentiamo genitore, è un percorso che integra dati biologici e concreti all’interno di un sistema simbolico: significati, idee, aspettative, storia dei genitori che poi si tratta di abitare, di fare propri.
Non basta ci siano genitori biologici, occorrono soprattutto genitori affettivi, simbolici, calati nella funzione materna e paterna, con un proprio rapporto con la vita e la verità, e disponibili a testimoniare su questo.
Indipendentemente dal modo in cui è stato concepito, il figlio è presente prima della sua nascita, è aspettato, desiderato, di lui si parla, si inizia a delineare il suo ambiente e la sua storia. Arriva nel campo simbolico di rappresentazioni, significati, emozioni che lo accoglie e lo sosterrà, a prescindere da come arriva.
Un “cerchio di amore di cui la madre fa parte. La donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita" (Nichi Vendola a proposito della mamma surrogata del figlio suo e del suo partner). E infatti, il “dipende” di cui parla Concita De Gregorio dice molto soprattutto sul destino delle omogenitorialità: “La complessità e la delicatezza delle scelte che riguardano la vita merita ascolto, prima di tutto, e uno sforzo grande di comprensione. Dipende da quanto amore ci sarà” (La Repubblica, 1 marzo 2016).
L’argomento apre molteplici interrogativi:
L’amore e il desiderio che accolgono un bambino da parte di una coppia di genitori dello stesso sesso si potranno esprimere diversamente o meno?
L’amore nasce e cresce solo nella dimensione naturale, solo attraverso la procreazione derivante dal legame sessuale di un uomo e una donna, segnato dalla differenza sessuale?
Solo la configurazione edipica che prevede una madre e un padre è garanzia di regolazione, umanizzazione e civilizzazione?
Principio o forma? È necessaria la regolazione del principio normativo unico, quello del patriarcato e della famiglia eterosessuale e della sua forma, o vale il principio della generatività simbolica, delle funzioni generative ed evolutive, di cui non occorre difendere un’unica forma?
È difficile rispondere sì alle prime due domande e ritenere con certezza problematico lo sviluppo di un bambino cresciuto da genitori dello stesso sesso, visto che sono le funzioni materna e paterna a essere sostegno della crescita, e non la maternità e paternità biologiche e corrispondenti secondo il genere. I ruoli edipici regolatori dello sviluppo possono essere svolti anche da due genitori dello stesso sesso e/o integrati da altre figure familiari o vicine al nucleo familiare. Così come accade, non per scelta ma per gli eventi della vita (separazioni, gravi malattie, disturbi psichici, disabilità, lutti…) che colpiscono anche le coppie genitoriali eterosessuali. Può esserci funzione paterna senza padre e funzione materna senza madre.
Peraltro, nelle coppie di genitori eterosessuali, anche in assenza di eventi critici, tali funzioni non sono assicurate in modo adeguato e incontrano la più vasta serie di mancanze, disordini se non veri e propri (e tragici) disturbi patologici, per cui necessitano funzioni vicarianti o interventi di sostegno o terapeutici.
Molti studi e ricerche degli ultimi 30 anni (sintetizzate da Vittorio Lingiardi, psicanalista e psichiatra, per il Corriere della Sera) vengono a sostegno del fatto che nell’esperienza concreta di famiglie omosessuali lo sviluppo dei bambini non subisce particolari influenze negative, per lo meno non particolarmente diverse da quelle vissute in famiglie eterosessuali, e ha simili possibilità di procedere in modo adeguato, nel rispetto dei bisogni individuali, in modo soddisfacente, permettendo evoluzione e maturazione degli affetti.
Esistono, poi, rischi specifici a cui i genitori dello stesso sesso possono comunque porre particolare attenzione adottando strategie di contenimento attraverso la chiarificazione, il dialogo, il confronto in una rete allargata e diversificata di interlocutori e in occasioni di esperienze di vita inserite e integrate nei legami sociali. I rischi derivanti dalle influenze delle reazioni negative – svalutazione, stigmatizzazione, emarginazione – suscitate dall’appartenenza a una minoranza più o meno discriminata. E anche il processo in corso di equiparazione dei diritti delle persone omosessuali (genitori o non) con la correlata eliminazione della differenza intesa come discriminazione e riduzione di diritti comporta dei rischi. Cancellare una differenza comporta sempre conseguenze: la differenza cancellata può diventare indifferenza, omologazione che non tiene conto delle specificità. O, peggio, ancora se la differenza in realtà è così negata, e dunque solo apparentemente o giuridicamente superata ma non elaborata, può riemergere come disprezzo, odio e risentimento, che può coinvolgere i figli di genitori dello stesso sesso.
L’interiorizzazione dell’atteggiamento omofobico nei rapporti sociali da parte di uno dei genitori dello stesso sesso o di entrambi può avere influenze disturbanti, se le manifestazioni che assume nel genitore sono di rifiuto, sfiducia, isolamento e se, in genere, sono disturbanti i rapporti e gli scambi sociali anche del bambino.
La svalutazione della differenza sessuale come aspetto umano se non tenuta nella giusta considerazione dai genitori dello stesso sesso, con apertura e senza pregiudizi verso le varie manifestazioni in cui si presenta, compresi gli stereotipi che esistono e con cui occorre fare i conti e l’accentuazione della similarità, possono impedire l’elaborazione della differenza tra maschile e femminile come uno dei dati fondanti la realtà e lo sviluppo della vita, ma anche come possibilità di scelta libera del bambino della sua futura identità sessuale.
La disgiunzione tra sessualità e procreazione che inevitabilmente interviene nella genitorialità omosessuale può indebolire, confondere il rapporto con l’origine (“da chi sono nato, da dove vengo”) che anche un bambino cresciuto da genitori dello stesso sesso deve costruire ed elaborare. Può rendere più indeterminato l’aggancio con la realtà, con le basi biologiche, con il concreto della vita, con la causa sessuale che determina l’umano e ancora ogni soggetto nel mondo. Può rendere più difficile, ma non impossibile, per il bambino ricostruire la rete di rapporti, il legame d’amore da cui è nato (e tra chi è stato), gli affetti e l’interesse particolare verso di lui che hanno portato alla sua nascita. Chi l’ha generato può essere una persona diversa da chi l’ha partorito e diverse ancora le persone che si prendono cura di lui. Occorre che il bambino arrivi a orientarsi e collocarsi nella rete degli affetti e dei desideri, trovando il suo posto.
Nella realizzazione della genitorialità omosessuale avviene a più livelli una cancellazione del limite, della differenza sessuale e della procreazione naturale attraverso la sessualità, dei limiti fisici e biologici che le tecniche mediche permettono di superare. Un desiderio di genitorialità altrimenti impossibile può essere soddisfatto e realizzato attraverso la tecnica medico-scientifica e in modo programmato. Il desiderio di un figlio non incontra più il limite del caso e la dimensione del dono della vita, con l’inevitabile quota di imprevedibile legata alla procreazione naturale e all’esistenza umana in genere; viene introdotta, invece, una forte quota di artificio data dalle procedure mediche, se non un controllo in certi casi addirittura onnipotente e potenzialmente disumanizzante.
Le influenze negative per un bambino possono derivare dagli effetti non certamente prevedibili della scelta dei suoi genitori di superare un limite, che può da un lato corrispondere a una certa negazione dei limiti fino all’onnipotenza che li cancella e che non permette di farci i conti, ma dall’altro lato può coesistere con un’adeguata accettazione di fondo, la necessaria elaborazione del limite e con un approccio non necessariamente disumanizzato.
Articolo a cura della Dott.ssa Marcella Cannalire, Specialista in Psicoterapia, in collaborazione con la psicologa Dott.ssa Monica…(Leggi Tutto)
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