Scritto da Maria Grazia Piemontese
Dott.ssa in Lettere
Blogger ABCsalute.it/blog
Pubblicato il 27/09/2013
Modificato il 27/09/2013
Il tumore ovarico è il più aggressivo tra i tumori ginecologici, tanto da uccidere ogni anno 140.000 donne su 220.000 malate. A differenza di altri tumori, per quello ovarico non si può contare sulla prevenzione, perché la neoplasia nasce in modo silente e si manifesta solo quando è troppo tardi per intervenire; inoltre, a due anni dall’asportazione chirurgica, l’80% delle donne malate affronta una recidiva.
Com’è facile intuire, la donna con carcinoma ovarico vive un’altalena di emozioni, dallo shock della scoperta della malattia, alla speranza di guarigione fino alla depressione che si presenta con la recidiva. Si tratta di un aspetto della malattia che incide profondamente sulla percezione del tempo e sulla qualità della vita. Non a caso, lo scorso 23 settembre si è svolto a Milano un incontro sulla relazione tra terapia del tumore ovarico e qualità della vita. In questa occasione, sono stati illustrati i risultati di una ricerca condotta da Doxa Pharma con il sostegno di ACTO Onlus riguardante il valore del tempo dopo la diagnosi e la recidiva del tumore ovarico. La ricerca ha evidenziato che il 60% delle donne ricomincia a pensare al futuro dopo aver sconfitto il cancro, ma l’ottimismo e l’entusiasmo svaniscono quando si presenta la recidiva.
Una soluzione terapeutica in grado di bloccare il rischio di recidiva è il bevacizumab, un farmaco biologico antitumorale già in uso per il trattamento di altre neoplasie e approvato dall’AIFA anche in Italia contro il carcinoma ovarico. La principale causa di tumore all’ovaio è di natura genetica e dipende dalla mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2. La classica chemioterapia è efficace, ma dopo circa 2 anni il tumore si ripresenta nell’80% dei casi. Il bevacizumab, affiancato alla chemioterapia, diventa prezioso nella fase di mantenimento, quando il carcinoma è stato debellato ma il rischio di recidiva resta alto. L’antitumorale, infatti, agisce bloccando la proteina VEGF - responsabile della crescita endoteliale vascolare - e impedendo l’angiogenesi, ossia lo sviluppo dei vasi sanguigni che alimentano il tumore.
Fino ad oggi c’erano solo due strade per contrastare il tumore all’ovaio: la chemioterapia, usata nella maggior parte dei casi, e l’asportazione chirurgica di tube e ovaio ma solo in caso di familiarità con la malattia. La possibilità di usare il bevacizumab risponde dunque a due necessità: quella medico – scientifica, impegnata a individuare sempre migliori soluzioni terapeutiche, e quella soggettiva della paziente che vuole definitivamente allontanare da sé il carcinoma ovarico.
La Prof. Nicoletta Colombo dell’IEO – Istituto Europeo di Oncologia – e il Dott. Sandro Pignata dell’Istituto Tumori di Napoli, ritengono che il fattore tempo sia determinante per sconfiggere il tumore ovarico: il tempo della scoperta, il tempo delle cure e il tempo delle terapie devono essere ridotti, e l’antitumorale bevacizumab può concretamente azzerare la crescita del carcinoma e garantire alle donne una maggiore e migliore qualità della vita.
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Fonti:
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