Scritto da Dott. Raffaele Bifulco
Pubblicato il 25/03/2014
Modificato il 25/03/2014
“Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. La verità enunciata da questa massima sulla bellezza è tanto semplice da sembrare scontata, eppure in questa semplicità sembra essere racchiusa una questione molto complessa: cos’è la bellezza?
Sul piano dell’interesse scientifico ascoltiamo due importanti – e diverse – scuole di pensiero sulla bellezza negli esseri umani: la concezione culturalistica e quella naturalistica.
Per la concezione naturalistica, la bellezza è oggettiva perché risponde a determinate caratteristiche geometriche, universalmente riconosciute come belle, collegate a specifici circuiti cerebrali modellati dalla selezione naturale. In questa prospettiva “il bello è sempre bello” in quanto percepito tale da tutti gli esseri umani, in qualunque luogo del pianeta, in ogni era e al di là della cultura di riferimento.
Per la concezione culturalistica, invece, la bellezza è soggettiva perché è inscindibile dalle esperienze della persona e, quindi, influenzata dal periodo storico, dagli usi e costumi locali, dalle mode, ecc. Secondo questo punto di vista la bellezza è relativa e percepita come tale, o meno, in base alle circostanze e alle persone.
Chi ha ragione? È difficile dirlo. Certo è che nell’area orbito-frontale della corteccia esistono sistemi corticali specifici per riconoscere la bellezza: abbiamo insiti in noi quei circuiti specifici che ci fanno “elaborare e riconoscere” la bellezza e che ci portano verso – o ci allontanano da – un partner che “oggettivamente” percepiamo bello, neutro o non attraente.
Ma come negare le influenze sociali e psicologiche che intervengono nel far preferire un determinato “tipo” di bellezza? E quante volte abbiamo risposto o fatto la domanda “qual è il tuo tipo ideale?”. Comunemente crediamo che ogni persona costruisca interiormente un proprio modello di bellezza, un prototipo di uomo o di donna soggettivamente irresistibile!
Si potrebbe concludere, dunque, che il giudizio di bellezza deriva da un processo cognitivo inscritto nell’ambito di esperienze personali e particolari, ma anche nella percezione di caratteristiche generali innate (che appartengono all’uomo ed evolutesi nel tempo) che, per prime, hanno influenzato e continuano ad orientare le culture umane.
Questa conclusione pareggia i conti tra “brutti” e “belli”: uno ad uno e palla al centro! Perché mai?
A guardare i cartelloni pubblicitari per strada, i format televisivi, le immagini che circolano in rete, top-model in passerella, hostess congressuali e cubisti in discoteca (e così via) la “bellezza” appare tendenzialmente appiattita, standardizzata, uniformata. I volti sembrano presentare tutti le medesime caratteristiche e i corpi sono da mostrare se modellati, depilati, idratati, lampadati, impomatati e profumati tutti secondo determinati criteri estetici. Non solo. Provate ad osservare l’omogeneità delle espressioni del volto, dei gesti, delle posture e dei movimenti del corpo. Chi non corrisponde… è “brutto”!
Ipnotizzati dalla cultura dell’immagine, ci si astrae dall’essere e dal cercare persone reali, con le caratteristiche fisiche che rendono “unico” ogni essere umano. La bellezza individuale risiede, potenzialmente, nella diversità e nella singolarità. A riguardo è fondamentale il modo in cui “viversi” l’esclusività delle proprie caratteristiche fisiche: se non siamo bambole o pupazzi, abbiamo una personalità che ci consente di essere complici di noi stessi, auto-ironici, creativi… ma anche disinvolti e capaci di osare! Ciò comprende la cura del proprio aspetto in modo sano e intelligente e, specialmente, la personalizzazione del proprio modo di presentarsi in coerenza con il proprio modo di essere!
Personalmente, introdurrei una terza scuola di pensiero: la bellezza di una persona non è una fotografia statica ma un film in sequenza, fatto di suggestioni e atmosfere, stimoli ed emozioni, fascino e carattere.
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